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December 12, 2014 Newsletter

Il Licopene è una sostanza antiossidante della famiglia dei carotenoidi (pigmenti di colore giallo-arancio-violetto) presente in alcuni cibi vegetali. Gli studi scientifici hanno dimostrato che tale sostanza ha notevole efficacia contro l’invecchiamento cellulare, malattie cardiovascolari e tumori. Il pomodoro sicuramente è l’alimento che ne contiene in maggiori quantità; altre fonti sono senza dubbio il pompelmo rosa, l’arancia rossa, le carote, le albicocche, l’anguria, la papaya e il melone. Tanto più l’alimento si avvicina al rosso intenso, tanto maggiore è il contenuto di licopene. L’organismo immagazzina questa sostanza nelle ghiandole surrenali, nel fegato, nei testicoli, nella mammella e nella prostata; sono questi quindi i primi organi a subire le conseguenze di un suo deficit.

Come detto in precedenza il licopene ha una spiccata attività antiossidante, ovvero è in grado di combattere i radicali liberi, un gruppo di sostanze responsabili di numerose malattie. Gli studi hanno evidenziato come il licopene si associ ad una riduzione di tumori come il cancro alla prostata, all’apparato digerente, all’utero e alla mammella. Una corretta assunzione di licopene è correlata ad una diminuzione di malattie cardiovascolari, in quanto evita l’accumulo di grassi nelle arterie, contrastando il colesterolo cattivo (LDL). Il licopene non può essere prodotto nell’organismo in modo indipendente, pertanto serve introdurlo con la dieta e mangiare alimenti che lo contengono; ciò è molto utile anche per la pelle che si mantiene in stato di salute (protetta anche dai raggi UV) grazie a sostanze antiossidanti come il licopene. Sempre grazie alle sue proprietà antiossidanti, il licopene protegge l’organismo anche da malattie neurologiche quali l’Alzheimer e il morbo di Parkinson.

Risulta quindi opportuno un regolare apporto di licopene, le sue notevoli proprietà possono dare benefici all’organismo a 360 gradi.



October 5, 2014 RASSEGNA STAMPA

«Per intolleranza alimentare si intende una reazione avversa dell’organismo verso alcuni alimenti o additivi, lenta nel tempo e che può coinvolgere diverse parti dell’organismo come intestino, stomaco, pelle, vie urinarie, fino a compromettere in certi casi le comuni attività lavorative e sociali. La differenza tra allergie e intolleranze alimentari è netta: l’allergia porta una reazione immediata dopo aver ingerito un alimento (per esempio bolle sulla pelle, orticaria, edema delle labbra). Per l’intolleranza invece si intende una reazione avversa verso un alimento o un gruppo di alimenti che possono appartenere alla stessa famiglia alimentare (ad esempio le solanacee: pomodoro, patata, peperone e melanzana) lenta nel tempo e soggetta ad accumulo nel caso di introduzione frequente dei cibi non tollerati ».

La definizione di intolleranza alimentare, fornita dal Prof. Giuseppe Di Fede, delinea un problema sempre più diffuso nella nostra società, e che interessa grandemente chi lavora nel settore della ristorazione. Sempre crescente è infatti il numero dei clienti che richiedono particolare attenzione proprio perché intolleranti a qualche alimento. Direttore Sanitario di I.M.Bio Istituto di Medicina Biologica Milano e Istituto Medicina Genetica Preventiva I.M.G.E.P Milano, Docente nel Master di Nutrizione Umana all’Università di Pavia, Vice Presidente dell’Associazione Ricerca Terapie Oncologiche Integrate A.R.T.O.I., Di Fede fornisce alcune indicazioni utili per accogliere in sicurezza questi ospiti, in particolare gli intolleranti al nichel: «Una delle intolleranze che sta dilagando a macchia d’olio è sicuramente quella al nichel e tra i cibi ricchi di nichel troviamo il cioccolato e cacao in polvere, pomodori, spinaci, lenticchie, asparagi, legumi, frutta secca ed essiccata. Tra i cereali più ricchi di nichel ricordiamo l’avena, il mais, il miglio e il grano saraceno. Per quanto riguarda gli alimenti non vegetali, tra le maggiori fonti di nichel sono i frutti di mare, le ostriche, il salmone, i gamberi e le cozze, le aringhe e gli sgombri.

Ma va fatta attenzione anche a cibi e bevande in lattina o in scatola: in questi cibi il contenuto di nichel può aumentare a causa del materiale del contenitore e del processo di lavorazione; questo vale anche per le pentole dove cuciniamo. Quando si accolgono clienti intolleranti al nichel pertanto va prestata attenzione anche alle pentole e accessori che vengono usati in cucina». Altrettanto diffuse sono le intolleranze al lattosio e al glutine. Tutte vanno comunque trattate con la massima serietà: il cliente deve sentirsi sicuro quando è seduto a tavola. La sua richiesta di evitare determinati gruppi di ingredienti deve essere presa alla lettera: assolutamente da evitare l’atteggiamento di chi minimizza il problema. Per un intollerante al lattosio spesso anche “solo” una noce di burro può essere fonte di problemi, così come lo è una spolverata di farina per chi non tollera il glutine.

Attenzione, quindi, e gentilezza, per mettere l’ospite a proprio agio. Apprezzatissimi sono quei – pochissimi –  locali che offrono alternative mirate, ma anche dove non sia possibile, si possono servire piatti preparati al momento “su misura”, oppure ricorrere a proposte già in menu che il cameriere avrà cura di indicare come adatte. «Il ristorante  non ha l’obbligo di essere “accessibile” a chi ha particolari problemi di intolleranze, ma sicuramente, visto l’aumentare di questa condizione, numerosi ristoratori tentano di capire e adeguarsi cercando di gestire un nuovo modo di fare ristorazione, così da potersi dedicare a una clientela, spesso più curiosa ed entusiasta di quella “comune” quando trova un locale che l’accontenta». A parlare è Tiziana Colombo, foodspecialist e foodblogger (www.nonnapaperina.it), oltre che autrice di un libro sull’argomento intolleranze. «Fino a non molto tempo fa – continua – chiunque avesse una necessità particolare doveva leggere attentamente la carta, evitare tutti i piatti incompatibili con la sua patologia o la sua dieta, domandare ai camerieri o ai cuochi, senza la certezza assoluta di stare per assaggiare qualcosa che non lo danneggiasse… insomma una serata di svago correva sempre il rischio di trasformarsi in un brutto ricordo. Oggi, invece, c’è una nuova, se pur neonata, nicchia enogastronomica dedicata ai “diversamente-gourmet”.

Sicuramente un ristoratore che vuole cominciare ad affrontare il problema intolleranze dovrebbe studiare il problema e chiedere delle consulenze specifiche. Ma in primis deve crederci e non sottovalutare il problema. Nel giro di qualche anno i ristoranti che non accetteranno che le intolleranze esistono saranno sempre più vuoti e quelli che invece prendono sul serio l’argomento sono sempre pieni già da ora».

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October 15, 2013 Newsletter

E’ un periodo che si sente continuamente parlare di intolleranze ….che cosa sono le intolleranze e che differenze ci sono con le allergie?

Per intolleranza alimentare si intende una reazione avversa dell’organismo verso alcuni alimenti o additivi, conservanti alimentari, lenta nel tempo e che può coinvolgere diverse parti dell’organismo come intestino, stomaco, pelle, vie urinarie, fino a compromettere, in certi casi le comuni attività lavorative e sociali. Basti pensare a chi soffre di colite, su base alimentare, come possa essere influenzata la giornata lavorativa.

La differenza tra allergie e intolleranze alimentari consiste per l’allergia, in una reazione immediata dopo aver ingerito un alimento, (esempio mangio una fragola e ho un immediata reazione con bolle sulla pelle, orticaria, edema delle labbra, per citarne alcune).

Per l’intolleranza invece, come abbiamo detto, si intende una reazione avversa più prolungata nel tempo verso un alimento o ad un gruppo di alimenti che posso appartenere alla stessa famiglia alimentare ( ad esempio le solanacee: pomodoro, patata, peperone e melanzana ) lenta nel tempo e soggetta ad accumulo con introduzione frequente anche giornaliero del cibo o dei cibi intollerati. Essa, può dare continuamente sintomi vari e a volte silenti, mentre certe volte con chiari sintomi di malessere come coliti, stipsi, cefalea, mal di stomaco, dermatiti, e cistiti o candidosi ricorrenti.

– Quali analisi si possono fare per arrivare ad una diagnosi di intolleranza alimentare?

Le allergie alimentari si possono testare con i Rast degli alimenti.
Per le intolleranze alimentari, purtroppo, c’è molta confusione, in quanto i test per la ricerca delle intolleranze alimentari oramai le fanno tutti dalla farmacia alla erboristeria…..con mezzi a dir poco fantasiosi senza dare un servizio concreto e serio all’utente che del tutto sprovveduto, accetta l’esito del test eseguito e nella maggioranza dei casi, non ricevono delle spiegazioni adeguate al risultato, generando delle serie problematiche di gestione dell’alimentazione.
Un solo test è riconosciuto sia come metodica di analisi che per gli estratti alimentari, ed è il test ALCAT.
Il test ALCAT è l’unico test riconosciuto dalla Food and Drug Amministration Americana che come ben sanno tutti è l’unico ente che riconosce sia i test che rispondono a requisiti particolari e non solo il test è riconosciuto ma anche l’apparecchiatura che esegue l’analisi. ALCAT e’ un test citotossico automatizzato, si effettua con una macchina da laboratorio dedicata e si esegue con un comune prelievo di sangue venoso.
La possibilità di eseguire i test su alimenti, conservanti, additivi, funghi e muffe, offre un certo vantaggio nella indagine diagnostica, una volta che i test tradizionali non hanno dato la risposta al problema clinico. ALCAT esiste da oltre 15 anni, e si effettua in 52 paesi del mondo.

– Quali sono le maggiori intolleranze che riscontrate negli ultimi tempi?

Da una nostra ricerca, risulta che almeno un terzo delle persone da noi visitate è intollerante al frumento e/o al glutine, le altre si divid ono in intolleranza al latte e derivati e una parte consistente, risulta intollerante al nichel.
Vorrei ricordare che ci possono essere alcune condizioni cliniche croniche e gravi, come le patologie renali, che necessitano di un adeguato inquadramento nutrizionale, per evitare di non trascurare alimenti importanti per la salute ed evitare invece quelli che potrebbero aggravare la malattia cronica.
Recentemente e’ stato sollevato un quesito riguardo la Sindrome Nefrosica, collegata con la reazione eccessiva di un certo tipo di anticorpi, i Linfociti T Citotossici ( precisamente Gamma e Delta ) che sono attivati dalle proteine del glutine, scatenando una reazione auto immune che potenzialmente può danneggiare le strutture renali.
Esiste la possibilità di valutare una predisposizione individuale verso il glutine tramite un’analisi genetica. Uno spazzolino dedicato, strofinato all’interno della guancia, raccoglie un gran numero di cellule dalle quali si può estrarre il DNA per analizzarlo.
Ricevuto l’esito del test genetico, il medico o il biologo nutrizionista è in grado di suggerire una dieta corretta e adeguata al problema di salute.
Una sana alimentazione, meglio se studiata in base al profilo nutrizionale evidenziato da un test sulle intolleranze o sul glutine, consente di non avere frequenti recidive di malattia e un maggiore recupero in caso di ricadute.

– Quali sono gli alimenti da evitare quando si assume cortisone e/o immunosoppressori e quali le integrazioni consigliate?

La sindrome nefrosica è un quadro patologico caratterizzato da anormale perdita di proteine dai glomeruli renali con conseguenti edemi corporei.
La terapia fondamentale di questa sindrome è con steroidi, capaci di controllare la patologia in un elevato numero di casi; tuttavia sia per ridurre gli effetti negativi della terapia steroidea sia per correggere le alterazioni metaboliche associate è sicuramente importante un adeguato regime dietetico il cui scopo è:

  • limitare l’assunzione di sale,
  • ripristinare le perdite proteiche
  • controllare il metabolismo dei grassi e degli zuccheri
  • controllare il metabolismo del calcio

In altre parole una alimentazione adeguata oltre a contrastare gli inevitabili effetti collaterali della terapia steroidea soprattutto se prolungata; è in grado di incidere in maniera molto significativa sulla sintomatologia e sull’evoluzione della patologia, aspetto particolarmente importante nell’età pediatrica.
Oltre alle consuete regole generali, ormai note a chi assiste un bambino affetto da sindrome nefrosica, esiste la possibilità di sottoporsi ad alcuni esami di laboratorio molecolari e genetici, in grado di contribuire a personalizzare il regime alimentare.

La nostra esperienza, mi porta a segnalare la frequenza di riscontro ai nostri test di intolleranza alimentare al frumento e derivati del grano e glutine, in secondo luogo ai latticini di origine vaccina e alle leguminose ma in minor parte.

E’ necessario che una volta avviato il programma nutrizionale personalizzato, il medico o biologico nutrizionista, deve adattare il programma alimentare in base al risultato degli esami.
Una condizione da evitare è quella di assumere alimenti acidi e favorire alimenti basici.
I cereali sono acidi, i latticini creano acidosi. Il carico di acidi e basici va corretto spesso per evitare ricadute ed effetti collaterali dalle terapie immunosoppressive.
Favorire le verdure di stagione e la frutta ad ogni pasto.
I cereali, sono considerati alimenti che tendono ad abbassare il pH del sangue, quindi si possono mangiare ma stando attenti a non mangiare sempre lo stesso tipo, una variazione della tipologia di cereale e anche della marca, permette di non diventare “intolleranti” . Altri alimenti che tendono ad acidificare il pH sono i latticini e tutti i derivati lattiero caseari bovini, meno acidi, ma non troppo, sono i derivati di capra e pecora.
Un vecchio detto indiano, recitava pressappoco così “nessuna medicina è efficace, se non accompagnata da una sana alimentazione”.

Prof. Giuseppe Di Fede per Associazione Sindrome Nefrotica

 



October 5, 2013 RASSEGNA STAMPA

Consigli pratici e 111 ricette per unire la salute al gusto: Intervista a Tiziana Colombo e domande/risposte introduttive al professor Giuseppe di Fede – Direttore Sanitario di IMBIO, Direttore Sanitario di I.M.Ge.P. (Istituto di Medicina Genetica, Preventiva e Personalizzata), prof. a.c. in Nutrigenomica presso l’Università di Pavia e vicepresidente di ARTOI (Associazione Ricerca Terapie Oncologiche Integrate), specialista in nutrizione e dietetica clinica, in medicina genetica preventiva, in ipertermia oncologica e immunoterapia

Milano, 21 maggio 2013: Intervista a Tiziana Colombo e domande/risposte introduttive al professor Di Fede

Prof. Giuseppe di Fede, ultimamente si sente spesso parlare di intolleranze….che cosa sono, e che differenze ci sono con le allergie

Per intolleranza alimentare si intende una reazione avversa dell’organismo verso alcuni alimenti o additivi, conservanti alimentari, lenta nel tempo e che puo’ coinvolgere diverse parti dell’organismo come intestino, stomaco, pelle.
Mentre nell’allergia c’è una reazione immediata, dopo aver ingerito un alimento,(esempio mangio una fragola e ho un immediata reazione con bolle sulla pelle), nell’ intolleranza invece c’è una reazione avversa più prolungata
nel tempo verso un alimento o un gruppo di alimenti che possono appartenere alla stessa famiglia alimentare (ad. esempio le solanacee: pomodoro, melanzana, peperone, patata), lenta nel tempo e soggetta ad accumulo, con introduzione frequente anche quotidiana dei cibi.
Può dare quindi fastidi continui, a volte silenti, o a volte con chiari sintomi di malessere come: coliti, stipsi, cefalea, mal di stomaco, dermatiti e cistiti o candidosi ricorrenti.

Ci sono analisi specifiche per testare e individuare sia le allergie che le intolleranze alimentari?
Le allergie alimentari si possono testare con i Rast degli alimenti.
Per le intolleranze alimentari invece c’è molta confusione, in quanto i test oramai li fanno tutti, dalla farmacia alla erboristeria, con mezzi a dir poco
fantasiosi senza dare un servizio concreto e affidabile all’utente che, del tutto sprovveduto, accetta l’esito del test eseguito e nella maggioranza dei casi, non riceve le spiegazioni adeguate al risultato generando delle serie problematiche di gestione dell’alimentazione.
Un solo test, riconosciuto sia come metodica di analisi che per gli estratti alimentari, è il test Alcat.
Noi usiamo ALcat test che è l’unico test riconosciuto dalla Food and Drug amministration Americana, l’unico ente che riconosce sia i test che le apparecchiature ed anche lo stesso sistema. Alcat è un test citotossico automatizzato che si effettua utilizzando una apposita macchina da laboratorio dedicata e si esegue tramite un prelievo di sangue venoso.
La possibilità di eseguire i test su alimenti, conservanti, additivi, funghi e muffe offre un certo vantaggio nell’indagine diagnostica una volta che i test tradizionali non hanno dato la risposta al problema clinico. Alcat esiste da oltre 15 anni, ed è utilizzato in 52 paesi del mondo.
Noi abbiamo una media di circa 2500 test all’anno effettuati su pazienti che cercano nel test Alcat la risposta e la risoluzione al loro problema.

Quali sono le intolleranze che riscontrate maggiormente negli ultimi tempi?
Ogni giorno, su un campione medio di circa una quindicina di persone, almeno 2 su 5 risultano intolleranti al frumento e al glutine, poi seguono intolleranza al latte e derivati, e una parte risulta intollerante al nichel.

Come è nata la vostra collaborazione con Tiziana Colombo meglio conosciuta nel web come “nonna paperina”?
Tiziana è una mia paziente e visto che, con la mia compagna Paola Carassai, erano anni che cercavamo una collaboratrice che ci portasse avanti il progetto delle ricette di cucina adatte per chi soffre di intolleranze alimentari, e non solo, parlando con lei ci siamo trovati subito in linea. Abbiamo gli
stessi pensieri, la stessa volontà e soprattutto la serietà nel dare una corretta informazione alla gente, che ha problemi di intolleranze alimentari in famiglia e quindi nella cucina di tutti i giorni.

Ora chiediamo direttamente a Tiziana perché ha deciso di scrivere questo libro.
Tiziana:
Questo libro nasce per una ragione molto semplice: è un’insieme di informazioni che non sono mai riuscita a trovare quando mi servivano. Cercavo ricette appetitose e immagini attraenti, dalle quali trasparisse empatia verso le persone con intolleranze alimentari e le loro difficoltà
quotidiane, cercavo idee per proporre dei piatti che tutti potessero condividere, senza neanche rendersi conto che erano “per malati” privi di nichel.
Cercavo informazioni sui prodotti nuovi che dovevo cominciare a mangiare e avevano per me nomi assurdi: quinoa, amaranto, soia, gomasio, etc.

Cercavo notizie su questo problema, consigli e tanto altro e saltavo come una palla rimbalzina da un sito all’altro. Allora è nato il progetto ambizioso di provare a riunire più informazioni, dati e ricette possibili per aiutare chiunque ha il mio stesso problema.
Il percorso che mi ha portata a prendere coscienza di quanto le allergie e le intolleranze incidano sulla vita delle persone e come conviverci al meglio è simile a quello di molti altri.

Quando mi è stata riscontrata l’intolleranza al nichel prima, e al lattosio dopo, mi è crollato il mondo addosso.
L’idea che alimenti generalmente innocui potessero essere dannosi per il mio organismo mi faceva stare peggio.
All’improvviso, le pietanze preferite si sono trasformate in un percorso minato. Le persone, lo si percepisce, sono realmente spaventate all’idea di invitarci a casa loro. Ho impiegato parecchio a capire ciò che dovevo sapere e come fare per spiegarlo agli altri, in particolare a mia suocera e a mio figlio Stefano. L’unica persona che mi ha sostenuto moralmente fin dall’inizio è stata mia sorella Maria Grazia a cui dedico questo risultato.

Non era un’artista in cucina, ma si impegnava a preparare piattini invitanti e gustosi da mangiare proprio per farmi capire che il mondo non era finito con la mia intolleranza…
Tuttavia, mi sono ben presto resa conto che non sono sola. Ho scoperto quanti “nichelini” hanno il mio stesso problema. Dalla condivisione delle mie esperienze sono emerse problematiche simili, non ultima la difficoltà di spiegare agli altri quali siano i problemi e come chiedere il loro aiuto.

Dalla mia esperienza fatta prima di giungere alla diagnosi dell’intolleranza, e dalla conseguente necessità di cominciare ad alimentarsi in maniera diversa, ho capito quanto ogni momento, all’apparenza drammatico, che ti si presenta nel cammino della vita, sia un’occasione per mettersi in gioco, per conoscere i punti forti del proprio carattere.
Ho pensato spesso di non farcela, ma dopo il percorso di conoscenza costruito, dopo gli studi effettuati in materia e dopo tutti i consigli ottenuti dal “mio Prof”, ho ricominciato a credere in me e ora mi sento capace di affrontare tutto.
È’ stata un’esperienza che mi dato modo di riamare la vita perché mi ha concesso la scoperta di questa forza interiore e di questa convinzione di
me, questo amore per la vita. I miei ricordi di momenti tristi che sono passati mi hanno insegnato molto.
Devo dire che un aiuto l’ho avuto anche dal sito di cucina http://www.nonnapaperina.it che ho aperto anni fa. Quando mi hanno riscontrato l’intolleranza non pubblicavo più ricette, mangiavo solo riso in bianco e bistecche ai ferri con insalata. Poi un giorno mio marito mi ha convinto a
provare a cucinare qualche ricetta adattandola al mio problema, altrimenti cosa avrebbero potuto pensare gli affezionati fan di Nonna Paperina? E così ho fatto!
Comunque ora riesco a mangiare bene, e stare bene con me stessa e gli altri, e questo è importante! Ho scoperto nel mio percorso ricette davvero deliziose e quando dicevo, perché ora non lo faccio più, “non so se può piacervi” oppure “l’ho fatto per poterlo mangiare anche io” mi guardavano come un’extraterrestre…
La cucina o la ami o la odi. E quando la ami non c’è nulla e niente che ti può far rinunciare a lei. In tutto ciò che fai, in tutti i momenti liberi, trovo sempre un motivo e un’occasione per pensare a un piatto, un ingrediente, una ricetta.
Ogni momento libero che ho è un’occasione per creare, sperimentare, provare una nuova ricetta.
E il momento più bello è quando ciò che ho creato, aggiungendoci sempre quell’ingrediente magico che è l’amore, lo condivido con gli altri.
Aspetto con ansia il loro giudizio, le loro parole, con la paura di aver fallito, di non essere riuscita a soddisfare le loro aspettative.
Sì, perché non si cucina mai un piatto per sé stessi, ma per poterlo condividere con gli altri, per riuscire a donare a chi ti stima un po’ del tuo amore. La mia idea è che chi mangia i piatti che preparo possa avere una percezione assoluta della passione con cui preparo le mie ricette e con cui vengono servite.
Questa filosofia è condivisa anche da Paola e Giuseppe, che mi hanno convinto a mettere insieme le mie idee e cucinare i piatti da divulgare a chi ha lo stesso mio problema.
Le nozioni e le ricette contenute in questo libro sono frutto di informazioni derivate da studi e testi specializzati. Non hanno lo scopo di diagnosticare o fare prescrizioni per patologie mediche o psicologiche, né sostengono o pretendono di prevenire, trattare, mitigare o guarire tali condizioni.
Per un parere medico o altre informazioni specifiche, consultate uno specialista, meglio se vi recate presso l’Istituto di Medicina Biologica (Imbio) dove è possibile diagnosticare l’intolleranza al nichel tramite ALCAT, il test che consente anche di verificare la sensibilità agli additivi alimentari compreso il nichel solfato.
I risultati di ALCAT Test permettono, inoltre, di mettere a punto un iter terapeutico personalizzato, che prevede un regime alimentare adeguato, e
una terapia di supporto a scopo desensibilizzante e detossificante.

IL LIBRO DI TIZIANA COLOMBO
L’intolleranza? La cuciniamo!
Consigli pratici e 111 ricette per unire la salute al gusto
di Tiziana Colombo
collana La cucina di Tiziana
90 illustrazioni a colori
cartonato
EAN 9788836626618
€ 20,00

Per informazioni:
www.silvanaeditoriale.it



February 1, 2012 Newsletter

Il nome nichel, utilizzato un tempo dai minatori per definire un elemento senza valore, deriva dal tedesco Kupfernickel (“rame del diavolo”). Il nichel è presente in maniera pressoché ubiquitaria nel nostro ambiente. Ecco perché le manifestazioni patologiche correlate a questo metallo, in particolare le dermatiti da contatto, sono in continuo aumento.

La diagnosi di allergia al nichel è in genere molto semplice: i dati clinici sono supportati dal patch test, un test di provocazione cutanea, che consiste nell’apporre sulla pelle un cerotto a rilascio lento di nichel.

Tuttavia, oltre alla dermatite da contatto, classica manifestazione di allergia conclamata, esistono forme cliniche, attribuibili a fenomeni d’intolleranza, che si manifestano con un corredo sintomatologico più sfumato, e a volte diverso da quello della classica allergia.

In questo caso, l’alimentazione assume un ruolo decisivo. Numerosi sono, infatti, i cibi contenenti discrete quantità di nichel: cacao, legumi, funghi, cipolla, pomodoro. Bisogna, inoltre, tenere in considerazione che il nichel solfato è ampiamente utilizzato come additivo negli alimenti, in particolare nei grassi idrogenati.

I sintomi più frequentemente associati a una probabile intolleranza agli alimenti contenenti nichel sono: cistiti, gastrite, reflusso gastro-esofageo, coliti, intestino pigro o dissenteria, gonfiore addominale, cefalea, dermatiti del volto o diffusa, stanchezza.

Per evitare che l’assunzione di alimenti contenenti nichel aggravi una forma allergica pre-esistente e, per alleviare in maniera davvero efficace i sintomi – soprattutto quelli gastrointestinali – dovuti a un’intolleranza al nichel, è importante sottoporsi a una diagnosi d’intolleranza.

Presso l’Istituto di Medicina Biologica (Imbio) è possibile diagnosticare l’intolleranza al nichel tramite ALCAT, test che consente anche di verificare la sensibilità agli additivi alimentari compreso il nichel solfato.

I risultati di ALCAT test permettono, inoltre, di mettere a punto un iter terapeutico personalizzato, che prevede un regime alimentare adeguato, e una terapia di supporto a scopo desensibilizzante e detossificante.

a cura del dr. Marco Mancuso – Esperto in Nutrizione e intolleranze alimentari, Esperto in ipertermia oncologica, Specialista in otorinolaringoiatria e radioterapia oncologica.



March 30, 2011 Newsletter

L’intolleranza alimentare, sintomatologia molto spesso sottovalutata, può interessare qualsiasi apparato e può manifestarsi in maniera molto varia: emicrania, dolori articolari, stipsi, meteorismo, iperattività, irritabilità, aggressività, otite, depressione, stanchezza.

Esistono numerosi test per diagnosticare le intolleranze, nella mia pratica clinica utilizzo “Alcat” e con riferimento alla mia casistica, posso affermare che questo test si è rivelato per me un utile strumento sia per la diagnosi che per la terapia.

Ho eseguito 200 “Alcat” test, i casi di intolleranze alimentari riscontrati erano suddivisi in 150 donne e 50 uomini. Tra le donne le intolleranze più rappresentate sono state quelle al Frumento, Lievito, Pomodoro, Malto. Nella anamnesi sono stati riscontrati casi di cistiti recidivanti abatteriche, vaginiti da candida e aumento del BMI.

Dopo aver diagnosticato l’intolleranza ho consigliato ai pazienti una dieta personalizzata di esclusione parziale degli alimenti intolleranti seguita da una graduale reintroduzione degli stessi.

In seguito alle 8 settimane del programma alimentare prescritto, i pazienti sono stati sottoposti ad un secondo test Alcat che ha rivelato un netto miglioramento della sintomatologia.

È importante sottolineare che la terapia integrativa è stata impostata solo in seguito alla valutazione dell’ecosistema intestinale tramite il test per la disbiosi. Il primo approccio operativo da adottare in presenza di un’intolleranza alimentare consiste infatti nel ripristinare in maniera ottimale la funzionalità intestinale.

Tornando, infine, alla mia esperienza con “Alcat” posso affermare che il test, in tutti i casi, è stato di ausilio nel valutare lo stato del paziente e nell’individuare le opportune prescrizioni che ne hanno migliorato la qualità della vita.

a cura del dott.sa Olga Fraschini



March 30, 2011 Newsletter

a cura del dr. Francesco Lampugnani

Il problema delle intolleranze alimentari sta diventando sempre più diffuso tra la popolazione e, sicuramente, i pazienti che riescono a confermare la presenza di un’intolleranza alimentare legandola ad una sequela di sintomi lamentati è ancora una grossa minoranza rispetto al grande numero di pazienti che, pur lamentando problemi importanti legati al tipo di vita che si conduce, non identificano un’intolleranza alimentare e di conseguenza un atteggiamento correttivo idoneo, perché o non conoscono l’esistenza della problematica (intolleranza), o perché non hanno ricevuto le giuste informazioni, o perché grosse dosi di scetticismo regnano 110328_alcatancora negli ambienti sanitari.

Fatta questa breve premessa, la mia esperienza in ambulatorio mi permette di confermare quanto riferito, in quanto una grossa percentuale di pazienti si è avvicinata ed ha effettuato il test per le intolleranze alimentari (che successivamente definiremo IA) solo dopo che ha avuto chiare tutte le informazioni necessarie ad associare le diverse sintomatologie manifestate alla presenza di un’IA.

Cosa molto importante è il non sapere, da parte del paziente, che tutta una serie di sintomi manifestati (gonfiore, stanchezza, stipsi, diarrea, cefalea, disturbi dell’umore, ecc) possono essere scatenati dalla presenza di un’IA. Arrivando insieme, durante l’importante momento conoscitivo dell’anamnesi, il paziente si rende conto che tante situazioni, alle quali molte volte non da peso, sono legate all’introduzione di determinati alimenti e che la successiva eliminazione o riduzione potrebbe essere di grande aiuto per il miglioramento della sintomatologia.

Come ormai sappiamo, definiamo Intolleranza Alimentare una reazione ritardata fino a 72 ore dopo l’assunzione di alimenti quotidiani e che si traduce in sintomi molto simili a quelli di un’allergia.

Alla luce della mia esperienza, sicuramente inizio a delineare importanti risultati legati alla presenza di un’IA e le abitudini di vita dei pazienti. Infatti, tra le associazioni più presenti, rientrano sicuramente le ripetitività alimentari: pazienti che ormai da anni assumono sempre gli stessi alimenti, vuoi per pigrizia, vuoi per ristrettezze di gusto.

Altre situazioni che si presentano sono legate alla qualità alimentare. Pazienti con alimentazione poco “salutista”, con utilizzo di alimenti molto sintetici (merendine, alimenti conservati, alimenti con molti grassi ed additivi chimici, ecc) e con pochi alimenti freschi e naturali, hanno manifestato, dopo anni di alimentazione di questo tipo, disturbi che ben indagati e sviscerati, hanno espresso la presenza di un’IA.

Altra situazione molto diffusa è quella legata a pazienti che hanno fatto abbondante uso di antibiotici o che hanno una situazione intestinale non ottimale. Infatti, riuscendo a ristabilire quel famoso equilibrio intestinale che è alla base di una corretta funzionalità, associato al trattamento di alleggerimento verso certi alimenti, si riesce a risolvere diverse situazioni alterate. Questi ultimi riferimenti mi permettono di sottolineare quanto sia importante avere sempre in giusta considerazione l’Eubiosi intestinale. Infatti il primo approccio operativo nei confronti di pazienti con disturbi associabili alla presenza di un’IA è proprio quello di riprendere uno stato di funzionalità intestinale ottimale. Cosa che di solito riesco a fare modificando le abitudini alimentari ed associando sempre Prebiotici e Probiotici, utili anche per una ripresa immunitaria a livello intestinale.

Per quanto riguarda la mia casistica, penso di poter dare un piccolo contributo analizzando un parte di pazienti che hanno fatto il Test per le Intolleranze Alimentari “ALCAT”.

Nello specifico, posso riferire di una casistica di 46 pazienti (31 donne e 15 uomini), con un’età compresa tra i 15 ed 65 anni, con una maggior presenza tra i 46 e 50 anni (17%) ed i 41 e 45 anni (11%) e tra i 56 e 60 anni (11%). Si iniziano anche a delineare dei profili di insorgenza delle IA molto interessanti.
Infatti come dati molto preliminari, saltano all’occhio due importanti risultati: tra gli uomini, l’intolleranza più rappresentata, è stata quella per lo Zucchero di Canna (60% del campione). A seguire Cacao (46% del campione), Caffè (40% del campione), Lievito Chimico (20% del campione) ed a seguire tutte le altre.
Per le donne invece, sempre per il campione analizzato, ho notato questo tipo di risposta: la più rappresentata è stata quella al Pomodoro (48% del campione), a seguire, Caffè, Frumento, Lievito Chimico (per tutte 35%). Discorso a parte merita l’intolleranza al Lattosio, sempre più diffusa (ovviamente), che per i due gruppi ha rappresentato una percentuale tra il 26 ed il 32%.

Molto interessante è una conferma pervenuta da uno studio Americano molto recente che dimostrava l’associazione, nei pazienti studiati, tra Intolleranze al Frumento ed ai Lieviti e la presenza di Tiroiditi. Anche nella mia casistica, ho potuto verificare quasi totalmente tale affermazione, che meriterà logicamente maggiori approfondimenti.

In conclusione, il mio giudizio su questo tipo di test è molto positivo. Ho avuto modo di confrontare i rilevamenti con altre realtà e sicuramente i risultati più importanti li ho avuti con l’Alcat.

Il test, cosa molto importante, mi permette di avere una visione più completa del paziente, che a sua volta riesce a confermare quasi del tutto la presenza dell’Intolleranza ad un alimento molto sospetto, con la controprova del miglioramento della sintomatologia legato alla disintossicazione ed alla riabilitazione verso l’alimento interessato. Inoltre, grazie all’individuazione degli alimenti, riesco a costruire un piano alimentare ritagliato a dovere e permettere tutta una serie di cambiamenti necessari per il paziente (riduzione di peso o aumento di peso; sintomatologia generale; ed infine, cosa non da poco, miglior educazione alimentare).

Penso utile, ai fine dell’informazione, aggiungere che in un certo numero di pazienti anche sportivi ho avuto modo di constatare un miglioramento delle loro prestazioni atletiche, parallelamente al miglioramento della sintomatologia generale, dopo l’individuazione di un’Intolleranza Alimentare.



October 5, 2008 RASSEGNA STAMPA

Trenta e passa gradi all’ombra, ristorantino vista mare, tavolata rumorosa e allegra, vino bianco fresco, pane a portata di canestro. Per “stare leggeri”, insalata di riso per tutti (servita con dadini di prosciutto, mortadella e piselli). A seguire, piatto a centro tavola di mozzarella e pomodoro da sbocconcellare in compagnia, fino al caffè. A parere degli esperti non si è trattato di un pranzo “leggero”, anzi. Sotto il sole, i commensali hanno inanellato (come vedremo più avanti) una serie di scelte alimentari sbagliate: a cominciare dal vino e proseguendo col pane, i salumi, il pomodoro, la mozzarella.

Ma quali sono i cibi da evitare, d’estate, in vacanza?

Gente ha chiesto di elencarli (e di spiegare per quale motivo sono sconsigliati) al professor Giuseppe Di Fede specialista di nutrizione e Dietetica Clinica che, a Milano, dirige l’Imbio (Istituto di Medicina Biologica) cui fanno riferimento, in tutta Italia, i centri che eseguono il test “Alcat” contro le allergie e le intolleranze alimentari. Non a caso, la statunitense Food and Drugs Administration, la più autorevole organizzazione mondiale in materia di salute, ha riconosciuto il test Alcat, sia per la metodica computerizzata che per gli estratti alimentari utilizzati per l’analisi, oltre al riconoscimento CEE, del test.

Alcol e acidosi
«D’estate, col caldo, anche gli alimenti più semplici e apparentemente “leggeri” rischiano di ammutinare fegato, stomaco, intestino e anche l’apparato circolatorio. Cominciamo dai disturbi più frequenti: dati alla mano, in vacanza, quasi la metà degli italiani segnalano, in forma più o meno grave, disturbi da acidosi di origine alimentare», spiega il professor Giuseppe Di Fede, «ma anche alcolica. I vini bianchi e le bevande ora di moda tra i giovani, contenenti sostanze alcoliche apparentemente “mascherate”, che provocano vasodilatazione con calo della pressione arteriosa. Nel contempo aumentano nel sangue gli acidi forti compromettendo il ph, cioè il valore che indica il giusto equilibrio. Inoltre, il fegato trasforma questi acidi grassi liberi in chetoacidi con conseguenze anche molto gravi. La sera, invece, è consentito un bicchiere di vino rosso che contiene i flavonoidi, con valenza antiossidante».

Il pane
«Con le temperature elevate il pane di farina bianca è meno digeribile e i lieviti tendono a provocare fermenti . Meglio evitarlo a pranzo e, la sera, è preferibile quello con farine integrali. Il motivo è per la fermentazione intestinale, che il pane lievitato, anche se a lievitazione naturale, crea dopo mangiato, dando un senso di pesantezza e rallentamento, da indurci a fare un pisolino pomeridiano, affaticando ulteriormente la digestione.

I pomodori
«Col caldo, l’assunzione di pomodori, può indurre una forma di acidosi che porta alla nausea anche a causa di una sostanza, la tomatina, che irrita le pareti intestinali. Quando poi i pomodori vengono associati a formaggi filati come la mozzarella, alimento a sua volta a base acida, raddoppia il pericolo di acidosi con un rallentamento del processo digestivo fino a manifestazioni di vomito e diarrea. Vanno evitati anche i pomodori al forno con i tipici ripieni di maionese e salse elaborate».

I salumi
«I prodotti del maiale, sia la carne, sia gli insaccati, sono a rischio col caldo estivo. La quantità di sale che contengono i salumi irigidisce le arterie e favorisce l’innalzamento della pressione arteriosa. Spesso, i classici dadini di mortadella, prosciutto o wurstel vengono usati d’estate per dare sapore a riso e pasta fredda, col risultato di rendere problematica la digestione: il sangue affluisce in forte misura verso lo stomaco e viene sottratto ai muscoli provocando senso di affaticamento e di torpore».

Le carni
«Oltre a quelle di maiale, vanno evitate quelle di pecora, capra e agnello. Anche di manzo nelle dimensioni importanti come la “fiorentina”. Sconsiglio le salsicce, sia di maiale, sia di carne mista, con manzo. Nel pesce occorre limitare i crostacei (gamberoni e aragoste) perché possono incrementare i valori del cosiddetto «colesterolo cattivo” nel sangue.

I fritti
«Tutto ciò che viene cucinato in olio bollente, sia pesce, sia carne, ma anche verdure e frittate. Soprattutto le classiche patatine si trasforma in autentico rischio per le arterie. Specialmente in estate».

I formaggi
«Vanno sicuramente evitati quelli stagionati e “duri”, mi riferisco e certe forme di pecorino, tipiche di alcune regioni centrali e meridionali, Sicilia e Sardegna: questi formaggi contengono forti concentrazioni di sale che è il nemico più temibile nella stagione calda».

Le salse
«Sono assolutamente da evitare maionese, senape, ketchup, sughi e intingoli elaborati per la preparazione di carni e alcuni tipi di pasta, come le lasagne, i canneloni e i tortelloni ripieni di carne mista, maiale e manzo. Il rischio è quello di formare veri e propri “tappi” per le arterie».

I dolci
«Mentre, per la colazione del mattino, le marmellate, soprattutto di frutta, sono indicate anche d’estate, vanno evitati tutti i dolci con creme e cioccolato, dalle torte ai bomboloni, krapfen, e panna in tutte le sue elaborazioni. I cibi con forte contenuto di zuccheri, aumentano la produzione di insulina e, di conseguenza, incidono sulla caduta altrettanto veloce dei valori glicemici. In spiaggia, la conseguenza è di una repentina caduta della pressione arteriosa».

Frutta esotica
«La frutta è alimento importante ma con la globalizzazione dei mercati molti sono portati a pensare che anche i prodotti in arrivo da paesi lontani hanno più o meno le stesse caratteristiche dei nostri. Non è così: mango, avocado, i mandarini cinesi, contengono una serie di zuccheri e di sali minerali che, soprattutto d’estate, possono creare anche seri disturbi digestivi come enteriti e coliti, meglio la frutta nostrana di stagione».

«ultima raccomandazione: è bene ricordare che esistono due tipi di allergie alimentari, quelle immediate e quelle ritardate. Le più pericolose e silenti: dipendono in pratica dallo stimolo ripetuto degli alimenti sui linfociti intestinali. Stratificano, in sostanza, quella serie di depositi che, alla lunga, possono diventare forieri di guai. Ecco perché è sbagliato dire: “Quel cibo non mi ha fatto male anche se sconsigliato, quindi continuo a mangiarlo. I conti, alla fine, rischiano di non tornare».

Fonte: Gente – Ago. 08

di Renzo Magosso


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