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December 29, 2020 Articolodieta e nutrizione

Perdere peso non significa necessariamente dimagrire. Il primo segreto per migliorare davvero il fisico? Non guardare la bilancia!

Lo sapevate che è possibile dimagrire senza perdere peso?
Molti di noi sono ossessionati dai numeri, quelli della bilancia in particolare. In realtà la bilancia può essere fuorviante, perché quello che conta in un processo di dimagrimento è la qualità, ovvero la composizione corporea.

La perdita di peso non corrisponde sempre alla perdita di grasso. Un corpo tonico e in salute, oltre a farci sentire meglio, brucia anche più energie.

È da sfatare il mito che grasso e muscolo pesino l’uno più dell’altro: 1 kg è sempre 1 kg!
In questo caso ciò che cambia è il volume, infatti 1 kg di grasso occupa molto più spazio rispetto all’equivalente peso di muscolo ed è per questo che a parità di peso la nostra forma fisica può migliorare e risultare più efficiente.

Quello che dovremmo voler ottenere durante un processo di dimagrimento non è soltanto una cifra in meno sulla bilancia, quanto una trasformazione della massa grassa in massa muscolare, nello specifico un miglioramento molto significativo dello stato di forma.

Come faccio a dimagrire e migliorare il mio stato di forma?

Innanzi tutto è fondamentale intervenire sull’alimentazione. Inutile privarsi di alcuni alimenti o saltare i pasti, perché per ottenere un dimagrimento giusto ed efficace bisogna seguire una corretta alimentazione con una dieta varia, equilibrata e personalizzata sulle nostre esigenze.

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L’attività fisica, anche blanda, è importantissima per migliorare il metabolismo ed incrementare i nostri livelli di energia.

Immaginiamo il nostro corpo come una macchina: se è alimentato con il giusto carburante e la batteria è funzionante e attiva, carburando consuma di più (metabolismo più veloce) e produce più energia (sviluppa massa muscolare comunemente conosciuta come massa magra)

Come faccio a misurare il mio dimagrimento? 

I primi miglioramenti li possiamo notare non tanto sulla bilancia, quanto sugli indumenti che indossiamo abitualmente, sulla sensazione di benessere e forza che si avverte e anche sull’umore.

La bilancia è semplicemente una sorta di calcolatrice che somma quello che è presente nell’organismo senza tener conto della qualità effettiva. Spesso è uno strumento ingannevole che va quindi utilizzato in maniera e in tempistiche corrette.  Ecco come usare la bilancia nel modo più efficiente.

Mai pesarsi tutti i giorni! Le eventuali variazioni di peso sono legate ai liquidi, che sono soggetti a oscillazioni dovute alle azioni quotidiane e non (digestione, funzionalità intestinale, stress, attività fisica / sedentarietà, cambi di temperatura, etc.). L’informazione che otteniamo non è indice di dimagrimento, ma delle oscillazioni quotidiane di peso.

Non pesarsi il giorno dopo lo “sgarro”. Pesarsi la mattina successiva ad un pasto libero è inopportuno. Anche in questo caso, la digestione un po’ più prolungata dovuta ad un pasto più impegnativo e pesante comporta una maggiore produzione di liquidi, necessari per compiere i processi di assorbimento dei vari cibi e questo influisce sul numero indicato sulla bilancia.
E non bisogna preoccuparsi della variazione di peso, in questo caso, in un’ottica di un corretto stile alimentare non è il pasto libero a lasciare strascichi sul lungo termine.

Non pesarsi più di una volta a settimana. Il suggerimento è quello di pesarsi non più di una volta ogni 7 /15 giorni, cercando di mimare le condizioni della pesata precedente. L’ideale è al mattino a digiuno e non dopo un eventuale sgarro.

Quali sono i limiti della bilancia?

La classica bilancia non fornisce indicazioni sull’effettiva variazione qualitativa del peso, in quanto eventuali cali potrebbero essere associati esclusivamente ai liquidi o peggio ancora alla massa muscolare. Questo non sarebbe affatto un aspetto incoraggiante.

In molti casi la perdita di massa grassa può essere accompagnata da un aumento della massa muscolare (che occupa meno spazio) e questo potrebbe portare a delle oscillazioni di peso dal punto di vista numerico molto lievi se non addirittura nulle.

Dunque è possibile che in un processo di dimagrimento efficiente il peso resta invariato.

Queste situazioni generano spesso uno sconforto che portano la persona ad entrare in conflitto con la bilancia e con la dieta. L’ossessione con la bilancia e con il peso può assolutamente risultare dannosa per il il proseguimento della dieta e per la salute psico-fisica del soggetto. In questo caso è consigliato non pesarsi affatto, proseguire con un corretto stile alimentare associato a della attività fisica e misurare i propri miglioramenti con delle foto o con il centimetro da sarto.

La BIA (bioimpedenziometria) per la misurazione della qualità della massa corporea

Un importante aiuto per decifrare meglio la situazione delle variazioni di peso può essere l’utilizzo della bioimpedenziometria (BIA), una tecnica rapida e non invasiva che permette di misurare la composizione corporea.

La misurazione viene effettuata da uno specialista tramite la semplice apposizione di quattro elettrodi (adesivi da disporre su mani e piedi). Il dispositivo è in grado di misurare i valori bioelettrici di Resistenza (abbinata ai liquidi corporei) e Reattanza (abbinata ai solidi corporei) presenti nel corpo umano.  Un programma su computer elabora i dati e permette di ottenere un’analisi completa in grado di discriminare se le oscillazioni di peso sono imputabili ai fluidi, alla massa cellulare o al grasso.

Massa magra (massa cellulare), massa grassa ed idratazione corporea 

La massa cellulare comprende tutte le cellule viventi ed è la componente metabolicamente attiva dell’organismo, ovvero ciò che produce energia nell’organismo. E’ responsabile delle funzioni vitali dell’organismo. Le proteine di struttura e di funzione del corpo fanno completamente parte della massa cellulare, che rappresenta una grandezza fondamentale da cui derivare la situazione fisiologica e lo stato di nutrizione dell’individuo.  Dalla massa cellulare si determina con grande precisione il metabolismo basale, ovvero il consumo dell’organismo a riposo, necessarie per svolgere puramente le funzioni vitali.

La massa grassa è composta da lipidi, ovvero grasso essenziale e tessuto adiposo.

Il corpo umano è costituito per circa due terzi da acqua, suddivisa nei compartimenti extracellulare ed intracellulare. Uno stato d’idratazione ben bilanciato è la prima condizione per un buon funzionamento del metabolismo e stato di salute.

L’importanza dell’acqua nella dieta 

Per questo un corretto apporto d’acqua è fondamentale per migliorare l’attività metabolica e quindi perdere peso correttamente.

Per la valutazione dello stato di idratazione, la sola quantità dell’acqua non è determinante: è la ripartizione tra acqua extracellulare e acqua intracellulare che determina gli stati di normo / iper/ disidratazione, fondamentali per capire lo stato metabolico del soggetto, ma più in generale lo stato di salute e la capacità antinfiammatoria dell’organismo.

La BIA risulta quindi veramente utile per identificare il dimagrimento corporeo e discriminare tra perdita di peso e perdita di grasso, vero dilemma di ogni persona e indicazione reale del fatto che il soggetto abbia un corretto stile di vita.

Affidarsi ad un professionista che sappia personalizzare la nostra dieta inoltre è importante per riuscire ad ottenere risultati concreti e migliorare il nostro stato di forma e di salute. Ricordiamoci sempre che una dieta sana, varia ed equilibrata è il metodo migliore di prevenzione.

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Dott. Alessio Tosatto

Biologo Nutrizionista

Riferimenti:  Alimentazione, Dieta, Misurazione Bioimpedenziometrica
Redattore: Dott. Alessio Tosatto


March 24, 2015 Newsletter

Se cercate un degno sostituto al latte vaccino che non contenga né lattosio glutine, vi consiglio di provare il latte di miglio, un’ottima soluzione per garantire al vostro organismo un apporto di proprietà nutritive paragonabili a quelle del latte vaccino senza, però, incorrere nel rischio di reazioni allergiche. Non solo, consumatelo con serenità anche se avete problemi di colesterolo e di diabete.

Un vantaggio comune a tutto il latte di origine vegetale è l’assenza di colesterolo, e il latte di miglio non è da meno. Un ottimo alleato, quindi, per chi lotta contro il colesterolo alto, grazie anche alla grande quantità di lecitina e di colina contenuto.

Proprietà, invece, unica, che condivide solo con il latte di avena, è la capacità di controllare il diabete. Secondo alcuni studi il latte di miglio contiene un particolare enzima in grado di aiutare il nostro corpo a eliminare i grassi. È, infatti, risaputo che legumi e cereali, essendo carboidrati complessi, hanno un ruolo importante nella cura e nella prevenzione del diabete.

Dunque, il latte di miglio è indicato per le persone che soffrono di celiachia, intolleranza al lattosio, diabete e colesterolo alto e non è consigliato a chi ha problemi con l’intolleranza al nichel.

Dovrebbero però tenerlo in considerazione e aggiungerlo o sostituirlo, anche per brevi periodi, anche chi non soffre di nessun di questi disturbi. Il latte di miglio ha, infatti, diverse qualità nutrizionali. Ad esempio, è ricco di vitamine del gruppo B, soprattutto la B6, ed anche sali minerali come zinco, magnesio, potassio, calcio e ferro.

Il miglio è un cereale alcalinizzante. Ciò significa che consumandolo, anche sottoforma di latte, assorbiamo le tossine acide che si accumulano con una dieta sbilanciata, troppo ricca di alimenti acidificanti, come uova, carne, alimenti raffinati o fermentati. Il consumo di latte di miglio, insomma, aiuterebbe il nostro organismo a ristabilire il livello ottimale di PH.

Questa sua caratteristica andrebbe a beneficio del buon funzionamento di milza, stomaco e pancreas e, sicuramente, aiuterebbe tutti quelli che soffrono di acidosi. Inoltre, è facilmente digeribile e non irrita l’intestino, può essere, dunque, ben tollerato anche per chi soffre di colite o ulcere; per i quali l’assunzione di latte di mucca, certo, non giova.

Il latte di miglio non è molto diffuso, lo troverete sicuramente nelle farmacie e nei negozi specializzati. Il suo sapore naturalmente dolce lo rende perfetto per essere consumato a colazione, magari col caffè, oppure per la preparazione di deliziosi dolci senza glutine.

 



September 2, 2014 RASSEGNA STAMPA

Ci sono alimenti di uso comune che, anche se possono sembrare apparentemente innocui e salutari, sono invece in grado di accendere una infiammazione a livello cellulare che porta come diretta conseguenza l’accumulo peso, e non solo

Fino ad una decina di anni fa se ne sapeva ben poco, oggi ne sentiamo parlare sempre più spesso: ci riferiamo alle intolleranze alimentari, un problema che secondo i dati raccolti dal Ministero della Salute, coinvolge in Italia ben il 2% degli adulti e l’8% dei bambini. L’intolleranza alimentare, a differenza dell’allergia, non è una condizione perenne: si tratta più semplicemente di una reazione avversa ad un alimento specifico che può essere risolta seguendo un percorso di rieducazione al cibo. I sintomi sono indubbiamente fastidiosi, ed in alcuni casi dolorosi, ma in genere non costituiscono un pericolo di vita.

Per approfondire il tema abbiamo incontrato il professor Giuseppe Di Fede, medico chirurgo edocente di Nutrigenomica e Nutrizione umana presso l’Università di Pavia, nonché direttore dell’Istituto di Medicina Biologica (IMBIO) di Milano, che ci ha spiegato anche come le intolleranze possano pesare sulla bilancia, oltre che sulla salute.

Oggi sono davvero tante le persone che soffrono di intolleranze alimentari. Un tempo erano meno diffuse oppure, più semplicemente, non riconducevamo i sintomi a tale problema?
Oggi abbiamo degli strumenti di laboratorio, che ci consentono di analizzare meglio lereazioni cellulari che avvengono quando consumiamo degli alimenti, che, a nostra insaputa, non sono tollerati dall’organismo. Diversi disturbi hanno continuato a compromettere la salute delle persone per anni sotto i nostri occhi, proprio perché non si pensava che essi fossero da imputare a reazioni infiammatorie dovute al cibo, come invece si è scoperto in seguito.

Da che cosa sono causate?

All’origine ci sono probabilmente una serie di concause. Cambiamenti della materia prima alimentare e delle lavorazioni possono aver contribuito ad innescare dei processi di assimilazione e digestione degli alimenti più lenti. In più, il consumo eccessivo di alcuni cibi e una dieta monotona possono creare un sovraccarico di sostanze che il nostro organismo fatica ad eliminare. E ancora, la predisposizione genetica contribuisce ad innescare reazioni da intolleranza, soprattutto al lattosio al glutine ed al frumento, sostanze che sono presenti in una percentuale maggiore negli alimenti rispetto al passato per rendere il prodotto finale malleabile, facile da lavorare.

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August 26, 2014 Newsletter
Giovedì 18 settembre, a Milano, presso l’NH President Hotel, si terrà “Gli effetti delle intolleranze alimentari non sono sempre divertenti” un incontro interamente dedicato alle intolleranze, organizzato dal Rotary Club Milano Villoresi, in collaborazione con Alcat Test Italia.
Le intolleranze alimentari sono responsabili di numerosi sintomi e disturbi, molto vari e spesso non collegabili immediatamente a ciò che abbiamo mangiato. Si tratta di una problematica molto più diffusa di quanto si pensi, che in tanti non sanno neppure di avere. Da oltre vent’anni, per la diagnosi e la cura delle intolleranze, esiste uno strumento preciso e accurato, in grado di aiutarci a riconoscere e scegliere i cibi più idonei al nostro organismo: ALCAT Test. L’unico test approvato dall’U.S. Food and Drugs Administration (FDA) e riconosciuto dalla CEE.
Quali sono le cause, i disturbi e le problematiche correlate alle intolleranze? In che modo si possono individuare e curare? Come è possibile recuperare la tolleranza e il benessere fisico con il test Alcat?
A questi interrogativi daranno risposta la Dott.ssa Paola Carassai, Presidente di Alcat test Italia, il Prof. Giuseppe Di Fede, Direttore Sanitario di IMBIO e Imgep e il Dr. Alessio Tosatto, Nutrizionista Alcat Test Italia e Tiziana Colombo, food blogger autrice del libro “Nichel. L’intolleranza? La cuciniamo!
Appuntamento alle 19,30 con l’aperitivo, a cui seguirà la cena con dibattito.
Durante la cena, gli specialisti saranno a disposizione dei partecipanti, fornendo numerosi consigli utili al riconoscimento e la cura di questi disturbi, focalizzandosi inoltre sull’importanza di un’alimentazione corretta e bilanciata.


July 25, 2014 RASSEGNA STAMPA

Bilanciamento dei macronutrienti, porzioni più piccole da distribuire durante tutto l’arco della giornata, ricerca delle fonti migliori (vedi cibi ricchi di polifenoli, antiossidanti, omega3 ecc.), una moderata attività fisica da praticare con costanza: sarebbero queste, secondo medici e nutrizionisti, le regole base per costruire uno stile di vita sano, in grado di garantire il buon funzionamento di quella complessa e meravigliosa macchina che è il corpo umano.

Per raggiungere l’obiettivo super salute, prevenire le malattie croniche, e contrastare l’infiammazione cellulare arrivano però nuovi strumenti dalla scienza: secondo alcuni recenti studi condotti dalla Stanford University di Palo Alto, California, attraverso l’analisi del DNA sarebbe infatti possibile ottenere importanti informazioni sulla reazione del metabolismo rispetto al consumo di determinate categorie di alimenti. I geni inoltre costituirebbero un’attendibile fonte per scoprire la propria predisposizione allo sviluppo di alcune patologie (vedi diabete, ipercolesterolemia ecc.) oppure la capacità di bruciare di più e meglio praticando un determinato sport piuttosto che un altro.

Per capire meglio quale legame esista tra DNA e salute/ forma fisica abbiamo chiesto aiuto al dottor Sacha Sorrentino, biologo nutrizionista, consulente presso lo studio IMBIO (Istituto di Medicina Biologica) di Milano.

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Q…Giornale by Sanihelp



July 7, 2014 Newsletter

Esiste un legame tra pesticidi e autismo? L’ambiente esterno, secondo i sospetti di numerosi scienziati e ricercatori, influenza lo sviluppo del feto, durante i primi mesi di gestazione, fino a condizionare le caratteristiche di quando sarà adulto.

Nello specifico, i ricercatori dell’UC Davis MIND Institute hanno analizzato il rapporto tra vita rurale e uso di pesticidi nell’agricoltura e autismo. Lo studio ha rivelato che, il rischio di avere un bambino affetto da autismo o da un altro ritardo dello sviluppo aumenta di oltre il 60% per le donne che vivono nelle vicinanze di campi e fattorie in cui si utilizzano pesticidi chimici. Lo studio,  pubblicato su Environmental Health Perspectives, ha mostrato, inoltre, come questo collegamento aumenti quando l’esposizione ai pesticidi avviene tra il secondo e il terzo trimestre della gravidanza.

In diverse zone della California, gli scienziati hanno analizzato l’associazione tra l’esposizione durante la gravidanza a specifiche classi di pestidici, tra cui organofosfati, piretroidi e carbammati, e una diagnosi di ritardo dello sviluppo o autismo nella prole. Lo studio confermerebbe i risultati di ricerche precedenti in merito alla relazione tra la nascita di un bambino autistico e l’esposizione prenatale ad agenti chimici, usati per l’agricoltura in California. Anche se i ricercatori devono ancora scoprire se alcuni sottogruppi sono più vulnerabili all’esposizione a questi composti rispetto ad altri, il messaggio è chiaro: le donne incinte dovrebbero evitare a tutti i costi il contatto con gli agenti chimici usati per l’agricoltura.

La ricerca ha evidenziato che ci sono diverse classi di pesticidi utilizzati più di frequente vicino alle zone in cui risiedono madri i cui bambini sono affetti da autismo o da ritardi. L’esposizione agli insetticidi, secondo i ricercatori, potrebbe essere dannosa durante la gestazione perché il cervello del feto, ancora in via di sviluppo, è più vulnerabile a quello di un adulto. Questi pesticidi contengono neurotossine, e l’esposizione in utero potrebbe disturbare lo sviluppo strutturale dei neuroni, determinando così alterazioni nei meccanismi di eccitazione e inibizione che governano l’umore, l’apprendimento, le interazioni sociali e il comportamento.

Lo studio enfatizza, inoltre, l’importanza dell’alimentazione materna durante la gravidanza, raccomandando soprattutto l’utilizzo di vitamine prenatali per diminuire il rischio di avere bambini affetti da autismo. Una dieta materna corretta, prima del concepimento, aiuta a creare le condizioni favorevoli per il futuro impianto e sviluppo del feto. Un’ alimentazione controllata e bilanciata, consente anche di prevenire malattie, carenze nutrizionali, allergie e intolleranze alimentari da adulto. Un controllo genetico per concepimento, sulla madre, può indirizzare un corretto stile di vita e soprattutto una corretta alimentazione, in modo da non causare o amplificare deficit nutrizionali importanti, per il feto e la madre.

Riferimenti: Environmental Health Perspectives doi: 10.1289/ehp.1307044



June 19, 2014 Newsletter

Numerose evidenze scientifiche pubblicate nel corso degli anni hanno ampliato la conoscenza delle potenzialità metaboliche dell’intestino, conferendogli un’importanza fondamentale per il buon funzionamento del nostro sistema immunitario, del nostro sistema endocrino e della nostra sfera psichica. Oggi il nostro intestino deve essere considerato un organo di fondamentale importanza per la salute ed il benessere di tutto l’organismo.

A livello intestinale si riscontrano una notevole quantità di germi e batteri . La cosa più importante è che questa la flora intestinale  “fisiologica” sia in simbiosi con l’organismo. Questa condizione di equilibrio è definita eubiosi.

Quando questo equilibrio viene alterato si può generare una condizione patologica chiamata Disbiosi. I sintomi spesso sono aspecifici, caratterizzati da un’alterazione del transito intestinale, sia in termini di stitichezza ma a volte anche di sindrome diarroica. Il tutto associato frequentemente a gonfiore addominale, flatulenza, digestione lenta, stanchezza (la flora batterica produce vitamine B), suscettibilità alle infezioni, diminuzione delle difese immunitarie (la flora batterica produce anticorpi), candidosi intestinale e/o vaginale, vaginiti e cistiti ricorrenti nella donna.

Tra i fattori che possono contribuire a generare la Disbiosi vi sono:

alimentazione sbilanciata (uso eccessivo di grassi, zuccheri, carni rosse ed insaccati in genere, carenza di frutta e verdura, abuso di sostanze alcolici, fumo, ecc.), scarsa od insufficiente attività fisica, utilizzo di terapie farmacologiche protratte nel tempo (es. l’assunzione indiscriminata e prolungata di antibiotici, cortisonici, estroprogestinici, lassativi, ansiolitici, vaccini, chemioterapie, ecc).

Ma anche: contatto con sostanze quali conservanti e coloranti alimentari, radiazioni ed emissioni elettromagnetiche, metalli tossici contenuti in alimenti o in contenitori di alimenti o nelle stoviglie (alluminio, mercurio, piombo), pesticidi, ormoni steroidei alimentari.

 La comparsa di processi infiammatori intestinali, spesso legati ad una cattiva alimentazione e/o all’uso indiscriminato di farmaci (antiinfiammatori, antibiotici) in associazione ad una condizione di disbiosi intestinale possono essere responsabili non solo di malattie a carico del nostro intestino ma anche a livello di altri distretti come ad esempio la pelle (dermatite atopica, acne, psoriasi), infezioni delle vie urogenitali (candidosi vaginale, cistite, prostatite), malattie metaboliche (obesità, diabete, sindrome metabolica), malattie della sfera psichica (ansia, depressione), malattie autoimmuni (tiroidite cronica, artrite reumatoide).

Un corretto inquadramento clinico consente di programmare un piano terapeutico individualizzato che prevede, non solo un cambiamento dello stile di vita del paziente e delle sue abitudini alimentari, ma deve anche portare all’individuazione di quei presidi utili a consentire il ripristino della salute ed il benessere dell’intestino, e di conseguenza di tutto il nostro organismo.

Per fare ciò occorre intervenire utilizzando pre e probiotici, modificando il regime dietetico (inserendo ad ogni pasto verdura cotta o cruda per stimolare la crescita dei batteri intestinali e incrementare l’apporto di frutta), aumentare l’apporto di liquidi nel bilancio idrico giornaliero.

Disbiosi in Gravidanza

Da alcuni recenti studi, è emerso che durante la gestazione, il feto può entrare in contatto con microorganismi di provenienza materna. Frammenti di DNA batterico sono stati rinvenuti, infatti, nel cordone ombelicale, nel liquido amniotico e addirittura nel meconio.

La loro presenza è resa possibile dal fatto che l’intestino della donna gravida, durante la gestazione, diventa più permeabile e ciò favorisce la traslocazione batterica. Questo aspetto è di fondamentale importanza perché, se la donna si trova in condizioni di Eubiosi, il contatto del feto con i ceppi batterici corretti creerà una condizione molto favorevole che permetterà all’intestino del neonato di entrare in contatto i bifidi. Se, invece, la donna gravida si trova in Disbiosi, si può assistere al passaggio dal circolo ematico materno, attraverso la placenta, al feto di ceppi batterici diversi che potrebbero comportare una maggiore esposizione a patologie da parte del neonato.

Il terzo trimestre di gravidanza è fondamentale per lo sviluppo del feto. Se l’intestino della gestante è in Eubiosi, sarà favorita una corretta elaborazione del cibo introdotto, con una minore estrazione di calorie dagli alimenti ed un più facile controllo del peso. In caso contrario, la presenza di Disbiosi intestinale durante la gravidanza determina un maggiore assorbimento di calorie che porterà ad un incremento ponderale della gestante con aumento del rischio di insorgenza di diabete gestazionale, mentre nel nel neonato si può assistere allo sviluppo di diabete infantile, allergie, obesità infantile, ecc. La Disbiosi è direttamente coinvolta nell’obesità perché crea una condizione di infiammazione a basso grado responsabile della scorretta elaborazione ed assorbimento dei principi nutrizionali con conseguente incremento di peso. La stessa problematica la si può verificare anche in individui normali anch’essi in Disbiosi.

La Disbiosi favorisce, inoltre, lo sviluppo di un intestino permeabile, con conseguente incremento della predisposizione allo sviluppo di malattie infiammatorie croniche dell’intestino quali M. di Crhon, RCU, Gluten Sensitivity ed anche Autismo

L’allattamento al seno da parte di una donna in Eubiosi è protettivo in quanto consente di abbassare il rischio di insorgenza di diabete, obesità, malattie autoimmuni e allergie nel neonato. Attraverso l’allattamento al seno, inoltre, si ha un ridotto sovraccarico funzionale a carico di fegato e reni.

Un altro aspetto importante dell’allattamento al seno è determinato dal fatto che, oltre alle IgA secretorie, il latte materno è ricco di Lisozima. Entrambe queste molecole inibiscono la proliferazione di patogeni, favorendo la crescita di bifidi. La Lattoferrina materna, invece, facilita l’assorbimento del ferro a livello intestinale sottraendolo ai patogeni che lo utilizzano (bacteroides ed enterobatteri).

Nel latte artificiale, la Lattoferrina viene denaturata ed il ferro resta nel lume intestinale e si trasforma in un ottimo substrato nutritivo per alcuni patogeni quali enterobatteri e bacteroides. L’allattamento artificiale, inoltre, facilita l’instaurarsi e lo sviluppo di clostridum ed escherichia spp associato ad un ridimensionamento della popolazione di bifidobatteri.

I bifido batteri sono i ceppi più importanti del piccolo intestino. Vanno assunti soprattutto nel terzo trimestre di gravidanza per stimolare la produzione di serotonina con riduzione delle alterazioni del tono dell’umore (riduce la possibilità che si possa instaurare una Sindrome depressiva postpartum), contribuiscono a contenere la problematica della stipsi in gravidanza associandoli ad un coretto stile di vita ed alimentare, favoriscono l’assorbimento di vit B12, riducono il rischio di diabete gestazionale.

 A cura del Dr. Stimolo Angelo – Medico Chirurgo, esperto in Idrocolon terapia e benessere intestinale.



November 28, 2013 Newsletter

Il glutine è tra gli alimenti più diffusi nella nostra alimentazione, è presente in tutte le farine comunemente disponibili nei supermarket, nella ristorazione, nelle mense scolastiche e lavorative. Insieme all’olio d’oliva, la frutta, la verdura e il pesce rappresenta l’alimento che caratterizza la dieta di tipo mediterraneo. I cereali accompagnano l’alimentazione da diversi anni, ma la composizione del glutine è cambiata negli ultimi decenni.

Tra gli alimenti contenenti glutine abbiamo: orzo, crusca, couscous, farina, pasta, segale, semola, spelta, triticale (ibrido semola e grano tenero), frumento, germe di grano, farina di frumento, crusca di grano, semola di grano.

Negli ultimi anni, si è manifestata – dapprima in maniera subdola fino ad arrivare a interessare una buona parte della popolazione Italiana – una nuova sintomatologia clinica che colpisce l’intestino.

Dopo anni di ricerche e controlli clinici, i ricercatori del Maryland, hanno individuato le possibili cause alla base della sensibilità al glutine, chiamata Gluten Sensitivity.

Ebbene, possiamo distinguere diverse forme di sensibilità al glutine:

Celiachia, dove la componente genetica relativa alla presenza di mutazioni del polimorfismo del DQ2 e DQ8, insieme alla componente autoimmune, determina un’aggressione da parte degli anticorpi anti-gliadina, anti-transglutaminasi e a volte anche gli anti-endomisio, della mucosa intestinale, con sintomi che possono interessare qualsiasi parte dell’organismo. Circa l’1% della popolazione ne è affetta.

  1. Allergia al Glutine, dove la componente allergica è data da una classe ben precisa di anticorpi chiamati IgE, che si attivano contro la proteina del grano. I sintomi sono riconducibili a reazioni allergiche dermatologiche o delle mucose. I test per scoprire un’eventuale allergia al grano e quindi al glutine, si effettuano con i RAST degli alimenti. Presente nel 2-3% della popolazione.
  2. Gluten sensitivity o sensibilità al glutine, di recente scoperta, è stata riconosciuta come nuova patologia nella Consensus Conference di Gastroenterologia, tenutasi a Londra, nel marzo del 2011. La Sensibilità al glutine si presenta come una condizione mista delle due situazioni sopra descritte. La percentuale della popolazione sensibile al glutine si stima sia intorno al 6%, ma i dati clinici a disposizione dovranno essere confermati dai dati di laboratorio attraverso i nuovi esami a disposizione del medico clinico.

Quali possono essere i sintomi legati alla sensibilità al glutine?

I disturbi addominali la fanno da padrone, possono manifestarsi con dolore di tipo colico, gonfiore, stipsi o diarrea, flatulenza; afte e stomatite, disturbi extra addominali che coinvolgono le articolazioni, i muscoli e i legamenti, dolori ossei, fino alla possibile artrite e artrosi. I disturbi possono riguardare anche la pelle, sono possibili manifestazioni simili a orticaria, dermatite secca e pruriginosa e infine un eczema di difficile controllo. La stanchezza cronica e difficoltà di concentrazione e attenzione, facile esauribilità della forza muscolare, anemia da carenza di ferro, abbassamento delle difese immunitarie con esposizioni a virus anche aggressivi come la mononucleosi e le infezioni erpetiche recidivanti. Ma la caratteristica principale della sensibilità al glutine è la persistente lieve infiammazione della mucosa intestinale che nel tempo è in grado di coinvolgere altri distretti del corpo.

Per maggiore chiarezza precisiamo che la malattia celiaca è un’allergia al glutine che coinvolge sistema immunitario con produzione di IgE specifiche, mentre nella Sensibilità al glutine è coinvolto il sistema immunitario innato, rappresentato dai granulociti neutrofili o polimorfo nucleati e linfociti tipo B. La reazione di difesa quindi è data dai granulociti neutrofili, e si tratta pertanto di una reazione di tipo citotossica e non immunologica.

Finora, la diagnosi della sensibilità al glutine si effettuava escludendo le altre due possibilità patologiche, la celiachia e l’allergia. Oggi, grazie all’analisi computerizzata di tipo citotossica standardizzata di ALCAT test, che permette di individuare l’alimento che genera reazione citotossica, è possibile rilevare il livello di sensibilità alla famiglia degli alimenti del glutine, e quindi ottenere un valore diagnostico davvero significativo di patologia di sensibilità al glutine di tipo non celiaco. Il referto ALCAT Test indica i livelli possibili di reattività agli alimenti della famiglia del glutine, che possono variare da un minimo di reattività, reattività media, fino a un massimo rappresentati rispettivamente da 1+, 2+ e 3+.

Cosa fare una volta evidenziata la sensibilità al glutine? Bisogna prima di tutto affidarsi a un nutrizionista che si occupi d’intolleranze alimentari, seguire uno schema nutrizionale personalizzato, che preveda la rotazione degli alimenti, ossia introducendo gradualmente, dopo un periodo di astensione dal glutine, gli alimenti intollerati. Questo tipo di gestione permette il recupero della tolleranza al glutine attraverso un regime alimentare il più vario e bilanciato possibile che include momenti di libertà dalla dieta e favorisce il recupero dello stile di vita comune.

Una diagnosi tempestiva consente di recuperare più velocemente una situazione che se protratta nel tempo si cronicizza, favorendo l’insorgere di disturbi che oltre l’intestino possono interessare altre parti del corpo.

 



November 30, 2012 Newsletter

La gravidanza è uno stato particolare durante il quale tutto il metabolismo della donna va incontro a profonde modificazioni. È bene quindi provvedere con un cambiamento nutrizionale in grado di fornire il corretto apporto calorico e tutti i nutrienti necessari alla mamma e alla crescita del bambino.

Durante le visite di routine, peso e bilancia sembrano essere il fulcro cruciale per gran parte di medici e ginecologi. In realtà, accanto al capitolo del controllo del peso, si apre quello sul corretto apporto di macro e micronutrienti e quello riguardante la prevenzione di sindromi allergiche e intolleranze. Per il benessere di mamma e bambino è importante quanto la donna mangia, ma è fondamentale che cosa mangia. La gestazione deve essere un momento di “educazione alimentare” e non di “restrizione”.

Data la posta in gioco, la gravidanza può essere per la donna un’ottima occasione per acquisire nuove conoscenze in ambito nutrizionale come il corretto frazionamento dei pasti durante la giornata, il corretto apporto di tutti i macronutrienti (carboidrati, proteine, fibre, lipidi) e micronutrienti (sali minerali, vitamine) e la prevenzione di allergie e intolleranze.

L’aumento ponderale in gravidanza è strettamente correlato al peso pre-gravidico e al BMI (Boby Mass Index o Indice di Massa Corporea): un BMI corretto e nella norma lascia di solito ben sperare in un aumento di peso corretto rispetto a un BMI da sottopeso o sovrappeso. Nel primo trimestre, è previsto un aumento di peso di circa 2 kg, dal secondo trimestre il controllo deve essere più oculato e non deve essere superiore ai 500g settimanali onde evitare sofferenza fetale.

In generale evitare gli alcolici e limitare i “nervini” (caffè, tè, cacao) che stimolano la contrazione muscolare e quindi anche quella uterina.

E’ bene frazionare i pasti rispettando lo spuntino di metà mattina e metà pomeriggio così da evitare pasti abbondanti che possono aggravare sintomi quali gonfiore, nausea, vomito. Sempre per gli stessi motivi è consigliato evitare cibi “pesanti” quali fritti, piatti troppo conditi, grassi animali (lardo e pancetta), dolci a base di panna e burro. Nei casi di nausea e vomito evitare piatti in brodo, preferire una colazione salata a quella dolce, prediligere le verdure cotte e condimenti a base di limone (ricordiamo che la presenza di vitamina C favorisce l’assorbimento del ferro presente negli alimenti).

È consigliata la massima igiene alimentare e un’abbondante idratazione (2L di acqua al giorno).

Tenere presente l’aumento del fabbisogno nutrizionale e in particolare di vitamine, calcio, potassio, ferro, fosforo e acido folico; da qui l’importanza di un’alimentazione completa. Meglio sopperire a tale fabbisogno da fonti naturali (gli alimenti) prima che dagli integratori (per quanto riguarda l’acido folico, di cui gli alimenti sono poco ricchi, è bene assumere un integratore secondo indicazione medica). Si consiglia di accompagnare i pasti principali con una buona porzione di verdura (meglio se di stagione) e di assumere due porzioni di frutta al giorno. Frutta, verdura e legumi sono ricchi in micronutrienti. Prediligere, inoltre, i cibi integrali (il pane integrale ad esempio contiene sette volte più ferro di quello bianco).

Veniamo ora all’importanza di un’alimentazione sì equilibrata ma allo stesso modo “preventiva”, come già accennato, nei confronti di allergie e intolleranze alimentari. Ad esempio, nei casi di donne particolarmente allergiche, alcuni studi riportano una minore incidenza di forme allergiche ereditarie se, durante la gravidanza, la donna ha seguito un controllo nutrizionale atto a ridurre tutti i nutrienti che potrebbero far scaturire il problema già nel neonato. Preferire quindi alimenti “anallergici” quali carni bianche, pesce, riso, latte di capra, ecc. riducendo il consumo di latte vaccino e latticini, uova e alimenti molto allergenici (fragole, pesche, frutta secca, cacao, ecc.).

La nutrizione della donna gravida deve essere sì “libera” e a suo gusto secondo le cosiddette “voglie”, ma è comunque giusto attenersi a un profilo nutrizionale molto vario così da evitare, o accentuare, intolleranze alimentari nella mamma e quindi “accumuli” nel nascituro.

Se sospettate di essere intolleranti o se semplicemente volete assicurarvi di seguire un’alimentazione corretta anche per il vostro bambino, una buona idea potrebbe essere quella di eseguire il test ALCAT per le intolleranze alimentari. In seguito, un esperto potrà indicarvi il tipo di alimentazione più idonea per voi, così da evitare spiacevoli sintomi in un momento tanto atteso! L’ALCAT Test, diffuso da più di vent’anni e validato da numerosi studi condotti presso centri di ricerca (Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, Laboratorio di Immuno-Allergologia, pubblicazioni sulla rivista ufficiale dell’European Academy of Allergology and Clinical Immunology), permette di seguire una terapia non farmacologica ma nutrizionale. Dopo una prima fase di eliminazione dei cibi risultati positivi al test, si procederà con la reintroduzione graduale e controllata di tutti gli alimenti.

In conclusione, oltre che per il rischio di aumento ponderale, il controllo dell’alimentazione della madre in gravidanza è importante per lo sviluppo del feto e per la prevenzione di allergie, intolleranze alimentari, dermatiti atopiche, bronchioliti, coliti, ecc., sintomi che possono presentarsi già dalle prime settimane di vita del bambino.

a cura della dr.ssa Jessica Barbieri, Biologa Nutrizionista, Consulente IMBIO – Istituto di Medicina Biologica Milano.



December 30, 2011 Newsletter

Uno degli argomenti sempre più seguiti e discussi è quello del nostro benessere e della nostra salute. Non esiste programma o rivista, specializzata e non, che non dedichi ampi spazi al ruolo che un determinato stile di vita svolge sul nostro benessere e sulla nostra salute.

L’argomento è molto vasto, ma tutto sommato riconducibile a pochi e fondamentali fattori che determinano il nostro stato psicofisico: alimentazione, attività fisica e stile di vita. A sua volta, un comune denominatore di questi tre pilastri del nostro stato di salute è rappresentato dai “Radicali Liberi”e di conseguenza, lo Stress Ossidativo a questi legato.

Cercheremo di inquadrare la problematica considerando situazioni comuni ai tre punti, fermo restando che ognuno meriterebbe di essere analizzato nel dettaglio, evidenziando gli atteggiamenti e le situazioni che possono contribuire al mantenimento di uno stato di salute e benessere ottimali.
E inoltre opportuno considerare un’altra condizione molto attuale, che può amplificare l’attività dei Radicali Liberi causando nella persona interessata una situazione di sofferenza, che spesso si manifesta in maniera subdola, con sintomi diversi e strettamente individuali. Mi riferisco alle Intolleranze Alimentari, che possono essere diagnosticate solo attraverso l’effettuazione di un modernissimo test.

A questo punto, dato per certo il ruolo negativo, oltre certi livelli, dei Radicali Liberi, cerchiamo di capire come possiamo conoscerli meglio, prevenirne gli eccessi, combatterli e in ultima analisi, convivere con questi vivaci “Guerrieri”.

Per definizione, i Radicali Liberi sono molecole o frammenti di molecole derivate dall’Ossigeno Molecolare, caratterizzate dalla presenza di uno o più elettroni spaiati negli orbitali esterni. In pratica, sottraggono elettroni ad altre molecole bersaglio per completare il loro ottetto (condizione stabile di elettroni; condizioni non di ottetto sono instabili).

Le molecole bersaglio possono essere: a) Acidi Nucleici; b) Proteine; c) Membrane Biologiche.
Il risultato di tutte queste aggressioni rappresenta lo “Stress Ossidativo”.

I Radicali Liberi sono prodotti di scarto che si formano naturalmente all’interno delle cellule del nostro corpo quando l’ossigeno è utilizzato nei processi metabolici per produrre energia (ossidazione). Se sono in quantità minima, aiutano il Sistema Immunitario nell’eliminazione dei germi mediante perossidazione lipidica (denaturazione membrane batteriche); mediante un’azione mutagena sul DNA; mediante ossidazione dei Citocromi (arresto respirazione mitocondriale). Se non sono prontamente neutralizzati dai sistemi Antiossidanti, danneggiano i tessuti e le cellule circostanti interrompendo i processi cellulari vitali.

Per comprendere più facilmente gli equilibri che esistono tra gli stati di ossidazione e di riduzione (acquisizione o cessione di elettroni) è utile evidenziare che tutte le forme di vita mantengono un ambiente “riducente” entro le proprie cellule. L’ambiente cellulare “Redox” è preservato da enzimi che mantengono lo stato ridotto attraverso un costante input di energia metabolica.
Eventuali disturbi in questo normale stato redox possono avere effetti tossici in seguito alla produzione di Perossidi e Radicali Liberi, che danneggiano tutti i componenti della cellula, incluse: proteine, lipidi, DNA. Come precedentemente accennato, in quantità ridotte, i Radicali Liberi contribuiscono ad aumentare le nostre difese verso infezioni e altre situazioni a rischio. L’eccesso di Radicali Liberi conduce, invece, a una serie di alterazioni e patologie: fibroplasia retrolenticolare, aterosclerosi, ipertensione arteriosa, morbo di Parkinson, morbo di Alzheimer, diabete mellito, colite, artrite reumatoide, invecchiamento.

È giusto ricordare, inoltre, che anche l’attività fisica, sempre più apprezzata e fondamentale per il nostro benessere, può causare, in certe situazioni, la produzione di Radicali Liberi. L’attività fisica comporta, infatti, uno sbilanciamento temporaneo tra la produzione di Radicali Liberi e il loro smaltimento. Questo fenomeno identifica lo “Stress Ossidativo”. La pratica sportiva continua induce nel nostro organismo un aumento delle difese endogene contro questo tipo di Stress, diminuendone quindi i danni. Esistono 2 siti di produzione: a) quello classico a livello della catena di trasporto degli elettroni, cioè all’interno del mitocondrio; in altre parole, maggiore è il consumo di ossigeno della cellula, maggiore sarà la produzione dei Radicali liberi. b) produzione anaerobica, avviene in altri compartimenti cellulari, in assenza di ossigeno, a causa di enzimi (Xantina Ossidasi, NADPH Ossidasi) o altre sostanze presenti in alcuni compartimenti (Calcio, Ferro). Questo è uno dei motivi che conferma quanto si ripete ormai da tempo: un’attività fisica non costante e molto saltuaria crea più danni che benefici.

A questo punto, vediamo i fattori che influenzano l’iperproduzione di Radicali Liberi:
1) Fumo;
2) Alcool;
3) Diete sbilanciate;
4) Esercizio fisico intenso;
5) Raggi solari;
6) Inquinamento.

I rimedi per almeno 5 di questi punti sono essenzialmente ablativi, nel senso che è sufficiente eliminarli dalle nostre abitudini per risolvere i problemi a essi correlati (vedi fumo, alcool, inquinamento ecc). Nel caso delle diete sbilanciate e dell’alimentazione in generale possiamo invece intervenire in maniera abbastanza significativa. Diete troppo ricche di grassi animali, fritture, alcool, ma povere di frutta e verdura, sono implicate molto da vicino sull’abnorme produzione di Radicali e sull’insorgenza di altre importanti patologie quali diabete, sindrome metabolica, e aterosclerosi.

Per lo smaltimento dei Radicali Liberi abbiamo a disposizione due meccanismi:
1) Endogeni
– Sistemi Enzimatici: Superossidodismutasi; Catalasi; Glutatione Perossidasi; Desaturasi;
Acido Lipoico
– Molecole Chelanti i metalli; Albumina; Ferritina; Transferrina; Ceruloplasmina.

2) Esogeni
Dieta e Grassi.

Tra i fattori esogeni, frutta e verdura costituiscono un completo laboratorio chimico che mette a disposizione numerosi composti, utilissimi ai nostri scopi. Possiamo fare una grande distinzione e suddivisione raggruppando queste sostanze in funzione dei colori degli alimenti da cui provengono:

  • GRUPPO del BIANCO: Aglio, Castagne, Mele, Pere ecc. Possiedono un’importante azione detossificante.
  • GRUPPO del BLU-VIOLA: Melanzane, Radicchio, Mirtilli ecc. Importantissimi per la vista e i capillari.
  • GRUPPO del GIALLO-ARANCIO: Carote, Peperoni, Zucca,Arance, ecc. Molto utili per la pelle e la sua protezione dai raggi solari nocivi.
  • GRUPPO del VERDE: Asparagi, Bietole, Basilico, Broccoli, Carciofi, ecc. Fondamentali per importanti funzioni vitali.
  • GRUPPO del ROSSO: Barbabietole rosse, Pomodori, Arance Rosse ecc. Grazie alla presenza di Licopene e Antocianine, sono i più potenti agenti Antiossidanti contro l’eccesso di Radicali Liberi.

Alla luce di quanto esposto, i Radicali Liberi sono, in determinate situazioni fisiologiche, un prezioso aiuto per l’omeostasi del nostro organismo. Il problema scatta nei momenti in cui vengono stravolti determinati equilibri, e quelli che erano i potenziali benefici si trasformano in pericolose aggressioni. La gestione di tali equilibri dipende molto anche da noi.

Un’alimentazione sbagliata ed esagerata, eccessive esposizioni al sole, fumo di sigaretta, smog e inquinamento, scarsa assunzione di antiossidanti naturali contenuti in frutta, verdura e oli vegetali, possono portare a subire le conseguenze negative dovute a un eccesso di Radicali Liberi. Giusta attività fisica, eliminazione di eventi aggressivi e assunzione di antiossidanti naturali o con integrazione extra, rappresentano la giusta contromisura per l’insorgenza dei danni legati all’eccessiva azione dei Radicali Liberi.

Per concludere, è importante sottolineare l’importanza che riveste la diagnosi della presenza di Intolleranze Alimentari, con test specifici sul sangue. Anche per i Radicali Liberi esiste la possibilità di indagare in qualsiasi momento sia sull’entità di aggressione di Radicali Liberi sia sulla capacità difensiva che in quel momento si mette in atto. In questo modo, in caso di scarsa capacità difensiva, è possibile instaurare un’opportuna terapia antiossidante ed evitare i potenziali danni legati a un’eccessiva attività radicalica.

a cura del dr. Francesco Lampugnani – Biologo Nutrizionista Specialista in Farmacologia


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