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March 26, 2015 Newsletter

C’è chi lo fa per necessità e chi, invece, lo fa per ragioni etiche; sempre più persone, oggi, sostituiscono il latte di origine animale, con uno di derivazione vegetale. Gli intolleranti al lattosio, i vegetariani estremi o vegani e chi ha il colesterolo alto, può scegliere tra diverse tipologie di latte ricavate da alimenti vegetali.

La soia, come in molti sapranno, è un legume originario della Cina, dove fu coltivata per la prima volta più di 5 mila anni fa. I frutti, simili ai fagioli, sono gialli e lunghi dai 3 agli 8 cm. Arrivò in Europa alla fine del 1800, inizialmente, solo per essere studiata ma, più tardi, fu anche coltivata. Non solo in Europa, le coltivazioni di soia ben presto, si estesero in tutto il mondo.

Il latte di soia si ottiene tramite un processo di macerazione, della durata di circa una notte, della soia intera oppure della sua farina. Poi, la soia è macinata e, a essa, è aggiunta l’acqua necessaria ad ottenere la consistenza desiderata. La purea ottenuta è portata a ebollizione. Infine, il tutto è filtrato per eliminare i residui. La preparazione è piuttosto semplice, infatti, il latte di soia può essere tranquillamente fatto in casa. In commercio, invece, lo troverete con la dicitura “bevanda di soia”, come vuole la legislazione europea.

I benefici più importanti del latte di soia sono principalmente due: non contengono lattosio e colesterolo.

Circa il 75% della popolazione mondiale, è intollerante al lattosio. Una buona fetta di popolazione mondiale, quindi, può trovare quasi tutti i benefici del latte vaccino in un latte di origine vegetale senza il rischio di avere reazioni allergiche. Tuttavia, è meglio fare attenzione, perché anche la soia può causare allergie (anche se in una percentuale esigua).

Come molti altri alimenti di origine vegetale, il latte di soia è privo di colesterolo. Non male come caratteristica per un alimento, soprattutto se pensiamo che una tazza di latte di mucca contiene, invece, 20 milligrammi di colesterolo, quasi il 7% della quantità raccomandata per un maschio adulto. Questa importantissima caratteristica, rende il latte di soia un alimento molto consigliato per chi ha il colesterolo alto o per chi ha sofferto o soffre di problemi cardiaci.

Invece, le proteine contenute nel latte di soia sono sostanzialmente le stesse del latte di mucca. Sono però, più digeribili e hanno un elevato tenore di lisina, un amminoacido essenziale per il corpo umano che va assunto esclusivamente attraverso l’alimentazione.

Questi i benefici fino ad oggi provati dalla scienza, si stanno facendo, però, altri studi per verificare l’ipotesi che la soia aiuti a prevenire nella donna il tumore al seno e nell’uomo il tumore alla prostata. Ci sarebbero, poi, ulteriori benefici per le donne in menopausa. Gli isoflavoni di soia, che agiscono in modo simile agli estrogeni, potrebbero, infatti, aiutare contro le vampate di calore e prevenire l’osteoporosi. Ma è tutto, ancora, da verificare!

Agli intolleranti al nichel questo latte non è consigliato d’uso giornaliero.



March 24, 2015 Newsletter

Se cercate un degno sostituto al latte vaccino che non contenga né lattosio glutine, vi consiglio di provare il latte di miglio, un’ottima soluzione per garantire al vostro organismo un apporto di proprietà nutritive paragonabili a quelle del latte vaccino senza, però, incorrere nel rischio di reazioni allergiche. Non solo, consumatelo con serenità anche se avete problemi di colesterolo e di diabete.

Un vantaggio comune a tutto il latte di origine vegetale è l’assenza di colesterolo, e il latte di miglio non è da meno. Un ottimo alleato, quindi, per chi lotta contro il colesterolo alto, grazie anche alla grande quantità di lecitina e di colina contenuto.

Proprietà, invece, unica, che condivide solo con il latte di avena, è la capacità di controllare il diabete. Secondo alcuni studi il latte di miglio contiene un particolare enzima in grado di aiutare il nostro corpo a eliminare i grassi. È, infatti, risaputo che legumi e cereali, essendo carboidrati complessi, hanno un ruolo importante nella cura e nella prevenzione del diabete.

Dunque, il latte di miglio è indicato per le persone che soffrono di celiachia, intolleranza al lattosio, diabete e colesterolo alto e non è consigliato a chi ha problemi con l’intolleranza al nichel.

Dovrebbero però tenerlo in considerazione e aggiungerlo o sostituirlo, anche per brevi periodi, anche chi non soffre di nessun di questi disturbi. Il latte di miglio ha, infatti, diverse qualità nutrizionali. Ad esempio, è ricco di vitamine del gruppo B, soprattutto la B6, ed anche sali minerali come zinco, magnesio, potassio, calcio e ferro.

Il miglio è un cereale alcalinizzante. Ciò significa che consumandolo, anche sottoforma di latte, assorbiamo le tossine acide che si accumulano con una dieta sbilanciata, troppo ricca di alimenti acidificanti, come uova, carne, alimenti raffinati o fermentati. Il consumo di latte di miglio, insomma, aiuterebbe il nostro organismo a ristabilire il livello ottimale di PH.

Questa sua caratteristica andrebbe a beneficio del buon funzionamento di milza, stomaco e pancreas e, sicuramente, aiuterebbe tutti quelli che soffrono di acidosi. Inoltre, è facilmente digeribile e non irrita l’intestino, può essere, dunque, ben tollerato anche per chi soffre di colite o ulcere; per i quali l’assunzione di latte di mucca, certo, non giova.

Il latte di miglio non è molto diffuso, lo troverete sicuramente nelle farmacie e nei negozi specializzati. Il suo sapore naturalmente dolce lo rende perfetto per essere consumato a colazione, magari col caffè, oppure per la preparazione di deliziosi dolci senza glutine.

 



March 3, 2015 Newsletter

Ancora una volta il microbiota intestinale ci sorprende. I composti prodotti dal metabolismo dei batteri intestinali sono fattori determinanti nel delicato equilibrio tra la flora e l’organismo ospite e, di conseguenza per la salute del tratto intestinale. Ma non è ancora del tutto chiaro se e come questa stretta relazione ospite – flora, possa influenzare processi infiammatori in altri tessuti periferici, ad esempio a livello delle vie respiratorie.

Una ricerca pubblicata qualche giorno fa su Nature Medicine e condotta dal prof. Benjamin Marsland dell’Università di Losanna, ha consentito di individuare un importante meccanismo di protezione per le vie respiratorie attivato dalla flora intestinale.

Lo studio è stato condotto con un modello sperimentale di topi di laboratorio alimentati con una dieta ricca di fibre rispetto ad una dieta “controllo”, povera di fibre e disegnata secondo i principi della dieta occidentale ricca di cibospazzatura”.

L’osservazione sperimentale dei topi ha rilevato come i roditori alimentati sulla base di una dieta ricca di fibre risultassero meno vulnerabili all’asma e presentassero un minore grado di irritazione ed infiammazione delle vie respiratorie, rispetto ai topi controllo.

Si è osservato che il contenuto di fibre dietetiche fermentabili modificava la composizione del microbiota intestinale e polmonare, in particolare modificando il rapporto di batteri Firmicutes- Bacteroides. A sua volta, la flora intestinale così “selezionata”, metabolizzando la fibra alimentare, produceva un aumento della concentrazione circolante di acidi grassi a catena corta (SCFA), facilmente assorbibili dall’intestino che, entrando nel circolo sanguigno, sono in grado di attivare segnali immunitari che inducono a ridurre infiammazione ed irritazione.

Sono, quindi, questi acidi grassi a catena molto corta, secondo i ricercatori, i responsabili dei benefici effetti anti-asma. La scoperta spiegherebbe pertanto il netto aumento dell’asma allergica in funzione di una dieta che privilegia cibo confezionato rispetto a quello ricco di fibre.

Quindi la conoscenza della composizione del microbiota intestinale e del valore degli acidi grassi, rappresentano una nuova strategia di prevenzione per l’asma. La difesa delle nostre vie respiratorie passerebbe quindi anche dalla nostra flora intestinale, la cui composizione dipende molto dal tipo di alimentazione.

 



February 20, 2015 NewsletterRASSEGNA STAMPA
Vi presento la nuova rubrica che terrà il Prof. Di Fede sulla rivista Italia a Tavola. Parlerà di salute e benessere, alimentazione e nutrigenomica. Il primo articolo tratta una delle intolleranze che colpisce maggiormente la popolazione mondiale: l’intolleranza al lattosio
La diagnosi di intolleranza al lattosio, si può fare sin dai primi giorni di vita, grazie alle nuove procedure diagnostiche; i vantaggi del risultato corrispondono a benefici in termini di salute da parte del paziente

Il latte è un componente fondamentale della dieta dei Paesi occidentali e la sua tollerabilità da parte dei diversi individui non è assoluta. Alcuni soggetti suscettibili dopo l’introduzione di latte, in forme diverse, lamentano la comparsa di sintomi addominali che scompaiono con l’astensione dall’assunzione dell’alimento stesso e la cui intensità generalmente varia in funzione della quantità di latte assunto configurando il quadro di intolleranza al lattosio o deficit di lattasi, l’enzima che serve alla digestione del lattosio stesso.

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January 14, 2015 Newsletter

L’avena è uno dei cereali meno presenti nella nostra alimentazione di tipo mediterraneo ed è spesso sottovalutata rispetto al grano, riso ed orzo. Recentemente sta invece richiamando l’interesse della comunità scientifica e dei nutrizionisti,grazie ad una composizione in nutrienti non indifferente.

La sua composizione chimica porta numerosi effetti positivi sulla salute dell’uomo in particolare gioca un ruolo importante nella riduzione del rischio di incidenza di buona parte delle patologie degenerative.

Anche dal punto di vista agronomico tale cereale presenta interessanti caratteristiche, crescendo in regioni dalle temperature moderate, tollera terreni umidi e acidi a differenza di altri cereali.

La sua peculiare composizione in frazioni proteiche la rendono idonea a tutti coloro che sono soggetti ad avverse reazioni al glutine. Infatti spesso i nutrizionisti che si occupano di reazioni agli alimenti o intolleranze alimentari, la includono nel piano nutrizionale del paziente. Grazie alla cospicua presenza di antiossidanti, minerali, vitamine e agli avenantramidi composti fenolici azotati, l’avena si colloca su un piano privilegiato rispetto ad altri cereali utilizzati comunemente.

Recenti studi hanno posizionato l’avena sul podio quale cereale cardine per celiaci e sensibili al glutine. In Europa e in Italia lo scetticismo ancora persiste impedendone un più ampio consumo.

Un articolo recentemente pubblicato sul British Journal of Nutrition

(Br J Nutr. 2014 Oct;112 Suppl 2:S50-7. doi: 10.1017/S0007114514002736).

Oat agriculture, cultivation and breeding targets: implications for human nutrition and health (Stewart D., McDougall G.).

ha evidenziato come questa sia in grado di aumentare il senso di sazietà, la qualità della digestione, la salute cardiovascolare, migliorare il metabolismo e ridurre il rischio di sviluppare la sindrome metabolica e il diabete tipo 2.

Inoltre l’avena come la maggior parte dei cereali integrali e alcuni dei loro prodotti derivati contengono β-glucano, un polisaccaride complesso, in grado di ridurre i livelli di colesterolo nel sangue.  Per ottenere questi benefici effetti, è necessario un consumo regolare e in quantità superiore a 3 g / die.

Il consumo regolare di avena – ad esempio a colazione in fiocchi – ricopre il ruolo di efficace antinfiammatorio e pare inibisca la proliferazione delle cellule tumorali.

Grandi passi sono stati fatti negli ultimi anni in ambito nutrizionale. Sapere a quali cibi si è potenzialmente intolleranti e conoscere la personale predisposizione alla sensibilità al glutine e ai cereali correlati con il frumento, ci permette di anticipare eventuali fenomeni infiammatori intestinali legati all’intolleranza a tali principi nutritivi. Quindi è possibile sottoporsi al test per la Gluten Sensitivity, attraverso un prelievo di sangue venoso, dove un algoritmo elaborato dal medico specialista permette di stabilire il grado di intolleranza al glutine e ai suoi derivati.

L’avena è dunque un cereale estremamente ricco il cui consumo è da consigliarsi praticamente a tutti, in particolare ai vegani, che necessitano di un adeguato apporto di proteine ed aminoacidi essenziali. Gli unici ai quali è consigliato di prestare particolare attenzione al consumo di avena, sono quei soggetti in cui è presente l’allergia al nichel.

 



December 12, 2014 Newsletter

Il Licopene è una sostanza antiossidante della famiglia dei carotenoidi (pigmenti di colore giallo-arancio-violetto) presente in alcuni cibi vegetali. Gli studi scientifici hanno dimostrato che tale sostanza ha notevole efficacia contro l’invecchiamento cellulare, malattie cardiovascolari e tumori. Il pomodoro sicuramente è l’alimento che ne contiene in maggiori quantità; altre fonti sono senza dubbio il pompelmo rosa, l’arancia rossa, le carote, le albicocche, l’anguria, la papaya e il melone. Tanto più l’alimento si avvicina al rosso intenso, tanto maggiore è il contenuto di licopene. L’organismo immagazzina questa sostanza nelle ghiandole surrenali, nel fegato, nei testicoli, nella mammella e nella prostata; sono questi quindi i primi organi a subire le conseguenze di un suo deficit.

Come detto in precedenza il licopene ha una spiccata attività antiossidante, ovvero è in grado di combattere i radicali liberi, un gruppo di sostanze responsabili di numerose malattie. Gli studi hanno evidenziato come il licopene si associ ad una riduzione di tumori come il cancro alla prostata, all’apparato digerente, all’utero e alla mammella. Una corretta assunzione di licopene è correlata ad una diminuzione di malattie cardiovascolari, in quanto evita l’accumulo di grassi nelle arterie, contrastando il colesterolo cattivo (LDL). Il licopene non può essere prodotto nell’organismo in modo indipendente, pertanto serve introdurlo con la dieta e mangiare alimenti che lo contengono; ciò è molto utile anche per la pelle che si mantiene in stato di salute (protetta anche dai raggi UV) grazie a sostanze antiossidanti come il licopene. Sempre grazie alle sue proprietà antiossidanti, il licopene protegge l’organismo anche da malattie neurologiche quali l’Alzheimer e il morbo di Parkinson.

Risulta quindi opportuno un regolare apporto di licopene, le sue notevoli proprietà possono dare benefici all’organismo a 360 gradi.



December 10, 2014 Newsletter

Se la salute vien mangiando,allora iniziamo dalla prostata con una corretta alimentazione e una giusta prevenzione.

La prostata è una ghiandola con secrezione esterna situata all’incrocio delle vie seminali con le vie urinarie, in stretto rapporto anatomico con il retto, la vescica urinaria e principalmente con le vescicole seminali situate lateralmente, vescicole che rappresentano il principale “serbatoio” del liquido seminale.

Il ruolo della prostata e delle vescicole seminali è quello di secernere la parte liquida dello sperma che serve a veicolare, a nutrire e ad aumentare la possibilità di sopravvivenza degli spermatozoi.

In più, la ghiandola prostatica gioca un ruolo protettivo nei confronti del tratto urogenitale dalle infezioni ed altre aggressioni, è una specie di “filtro” del carrefour uro-seminale che “pulisce” i liquidi che passano, cioè sperma e urine.

Gli agenti infettivi possono arrivare alla prostata e quindi alle vescicole seminali per via ascendente uretrale (rapporti sessuali, piscine, ecc) e per via linfatica dagli organi adiacenti (retto, ecc).

Una volta superata la sua capacità di difesa, si può arrivare a infiammazioni/infezioni della prostata e delle vescicole seminali (prostatite, prostato-vescicolite) che influiscono sia sulla fertilità che sull’attività sessuale.

Le conseguenze di una prostata infiammata possono riflettersi negativamente sulla vita sessuale maschile, dal dolore durante i rapporti all’eiaculazione precoce.

Cosa provoca il cancro alla prostata?

Molti fattori possono influenzare la salute della ghiandola prostatica, tra questi non per ultimo un’attenzione particolare è riservata all’alimentazione. L’esposizione a diverse tossine ambientali, lo stress, l’ereditarietà, l’assetto ormonale sono tutti fattori influenzanti il benessere della prostata.

Sottoporsi a screening urologici: controllare il PSA ( attraverso un prelievo di sangue ) negli uomini sopra i 40 anni, sottoporsi ad una visita urologica, eventuale ecografia trans rettale e nei casi dubbi o per confermare sospetti, biopsia della ghiandola.

Da poco siamo in grado di effettuare un test genetico che ci aiuta a capire se e quanto siamo predisposti a sviluppare un tumore prostatico. Attraverso un semplice prelievo di cellule della mucosa orale, grazie ad uno spazzolino dedicato, siamo in grado di analizzare le sequenze del DNA in grado di generare anomalie potenziali per lo sviluppo del tumore della prostata.

Inizialmente si forma un’ipertrofia prostatica che in genere è benigna, l’ingrossamento della ghiandola porta disturbi nella minzione con difficoltà nel primo getto e comunque nel caso in cui la situazione si evolva, un tumore ha bisogno di parecchi anni per formarsi.

L’alimentazione, tanto a lungo ignorata dalla moderna medicina, è stata finalmente riconosciuta come una delle cause primarie di cancro alla prostata nel 1982, un rapporto del National Research Council ha messo in evidenza lo stretto rapporto tra abitudini alimentari e cancro al seno, colon e prostata.

La prostata si può mantenere sana evitando cibi tipo spezie, fritti, condimenti piccanti ecc probabili cause di un’irritazione intestinale che si trasmette alla prostata, una delle possibilità per prevenire ciò è l’attività fisica, dato l’utile ruolo svolto dall’attività muscolare nell’evitare la stasi sanguigna che favorisce l’infiammazione.

Un altro fattore importantissimo che incide sullo stato di salute della prostata sono le intolleranze alimentari.

Le intolleranze alimentari sono una specie di allergie mediate non dalle immunoglobuline E (IgE) ma dal sistema immunitario difensivo o innato rappresentato dai Granulociti Neutrofili ma a differenza delle allergie sono tardive, interne e cumulative. Le intolleranze ai vari alimenti creano un effetto di tipo infiammatorio a livello della mucosa intestinale, infiammazione che comporta la vasodilatazione e quindi l’apertura delle “porte” d’uscita dei germi (E. coli, Enterococcus fecali, ecc) dal retto e il passaggio di questi germi alla prostata dove diventano molto virulenti, non trattandosi del loro habitat normale e non avendo la prostata sviluppato i sistemi di difesa contro germi non abituali.

Il risultato è un’infiammazione della prostata e delle vescicole seminali nei pazienti intolleranti con tutte le conseguenze riportate sopra.

Da sottolineare che la maggior parte delle infiammazioni prostato-vescicolari sono asintomatiche quindi vengono scoperte solo quando il paziente si rivolge al medico per problemi di infertilità, eiaculazione precoce, deficit erettile di mantenimento, sintomatologia urinaria e/o eiaculatoria ecc.

La prostata  rappresenta quindi un organo centrale dell’apparato genito-urinario con implicazioni sia sulla fertilità che sulla sessualità dell’uomo e nonostante il parere comune che le patologie prostatiche siano una prerogativa delle persone anziane, i giovani sono più suscettibili alle patologie infettive in quanto più attivi sessualmente. Tra i fattori che influiscono sulla salute della prostata, di sicuro le intolleranze alimentari si trovano ai primi posti.

L’alimentazione: vanno evitati cibi che possono irritare le vie urinarie come gli insaccati, i fritti e cibi troppo piccanti o speziati. Sono da bandire le bevande alcoliche, mentre si possono consumare con moderazione le bevande gassate.

Alcuni cibi protettivi per la salute delle prostata sono : melograno, frutti di bosco, melone, papaia, mango, radice di zenzero  e tutti i frutti della stagione  estiva, utili per la salute non solo prostatica ma di tutto l’organismo.  Anche alcuni carotenoidi, in particolare il licopene contenuto  soprattutto nei pomodori (specie se consumati cotti), sono protettivi. I cereali, noci e soia  sono altri fattori dietetici con proprietà preventive nei confronti del cancro prostatico probabilmente per via del loro alto contenuto di fitoestrogeni. Anche i famosi acidi grassi della serie Omega 3/6 sono benefici, poiché mantengono attiva e in salute la ghiandola.

Le proteine vegetali infine risultano avere un effetto protettivo  modulando la produzione  dell’insulina e di IGF-I (Insulin-licancroe Growth  Factor) caratterizzato da una potente attività carcinogena. Non per nulla  questo fattore risulta essere presente in livelli significativamente più  bassi nei vegani, rispetto ai consumatori di prodotti animali (vegetariani  inclusi).
Una moderata e regolare attività fisica è invece consigliata per una buona ripresa e un pronto recupero dell’organismo.

Esistono comunque numerosi studi in base ai quali si può sostenere che i grassi saturi (essenzialmente di origine animale) aumentino il rischio di questa patologia e diminuiscano le probabilità di sopravvivenza del paziente già colpito da tumore. La  dieta ipercalorica e l’obesità sono stati associati ad un aumento dell’incidenza di cancro prostatico, così come la correlazione tra il consumo di latte e la possibilità di formazioni tumorali definita da oltre 10 anni.

Recentemente si è visto aumentare il rischio del 50% nei forti consumatori di latticini e secondo alcune ricerche sarebbe la frazione non-grassa del latte, a causa del contenuto di Calcio, più che i grassi saturi del latte ad essere il fattore responsabile dell’incremento. La caseina presente nei prodotti lattiero-caseari, aumenta il rischio di sviluppare il cancro prostatico, se consumata in maniera costante per tutta la vita.

Sebbene alcuni cibi animali quali i latticini contengano vitamina D, la loro assunzione non risulta protettiva a causa della contemporanea introduzione di Calcio legato alle proteine animali, difficili da assorbire da parte dell’organismo  che di conseguenza va incontro ad una carenza di Vitamina D per consumo e incapacità a trattenerla.      



September 24, 2014 Newsletter

Dolcificano i cibi ma senza le calorie del saccarosio. Ma i dolcificanti artificiali (aspartame, saccarina, sucralosio) più che prevenire disordini metabolici quali intolleranza al glucosio e diabete, potrebbero addirittura favorirne la comparsa o peggiorarne i sintomi. È quanto suggeriscono le recenti ricerca di scienziati, pubblicate su Nature. In effetti, riferiscono i ricercatori, la relazione tra uso di dolcificanti e disordini del metabolismo sono strettamente legate.

Visto il loro ridotto (e in alcuni casi assente) contenuto calorico, i dolcificanti artificiali vengono impiegati in una grande varietà di cibi – dai dolci alle bevande light – e consigliati a chi desidera mantenersi in forma, o a chi soffre di intolleranza al glucosio (elevati livelli di glucosio nel sangue) e diabete di tipo 2.

Ma sebbene vengano considerati benefici e consigliabili a causa del loro ridotto contenuto calorico, scrivono i ricercatori, non vi sono dati scientifici certi che avvalorino la sicurezza e l’efficacia di questi composti. Per questo il team guidato da Eran Elinav del Weizmann Institute of Science (Israele) ha deciso di studiare che tipo di effetti hanno questi composti sulla composizione e funzione del microbioma intestinale di topi ed esseri umani, e quali conseguenze sul metabolismo glucidico (zuccheri).

Per farlo i ricercatori hanno alimentato dei topi con acqua addizionata di diversi dolcificanti (quali aspartame, saccarina e sucralosio) e osservato che effetto questo avesse sul loro metabolismo rispetto a topi che bevevano solo acqua o acqua addizionata di zucchero (saccarosio) o glucosio.

Dopo circa 11 settimane gli scienziati hanno visto che gli animali che avevano ricevuto i dolcificanti sviluppavano una marcata intolleranza al glucosio rispetto a quelli che invece avevano bevuto acqua zuccherata tradizionalmente. Un effetto questo mediato dalla popolazione batterica, spiegano gli scienziati: quando infatti i topi ricevevano degli antibiotici in grado di diminuire la flora microbica, gli effetti derivanti dall’aggiunta dei dolcificanti sparivano.

I dolcificanti modificavano anche la composizione del microbioma intestinale nei topi, così come la loro funzionalità (per esempio aumentando le capacità di degradazione dei carboidrati negli animali che avevano consumato i dolcificanti).

Risultati simili a quelli visti nei topi sono poi stati osservati anche sugli essere umani: in soggetti che non consumavano solitamente dolcificanti, una volta sottoposti a regime dietetico ad alto contenuto di queste sostanze, dopo appena quattro giorni si registravano alti livelli di glucosio nel loro sangue.

Il test ALCAT per al ricerca di intolleranza alimentari a zuccheri e dolcificanti, può aiutarci a scegliere in anticipo il tipo di integrazione di zuccheri nella dieta. Un aiuto ulteriore può essere fornito dal test genetico sulla ricerca della predisposizione al diabete tipo 2 e resistenza insulinica. Il profilo del risultato darà indicazioni nutrizionali per prevenire il diabete e le condizioni di alterato metabolismo degli zuccheri.

Il consumo di dolcificanti piuttosto che aiutare a tenere sotto controllo anomalie metaboliche potrebbe favorirne la comparsa agendo sulle popolazioni microbiche dell’intestino.

 



August 21, 2014 Newsletter

L’anguria o cocomero (Citrullus lanatus) è una pianta appartenente alla famiglia delle Curcubitaceae, tipica dell’Africa meridionale e tropicale. Il frutto ha un interno rosso o più raramente giallo; è ricco di semi, che possono essere neri, bianchi o gialli e hanno un effetto lievemente lassativo (utili quindi per riattivare un intestino pigro). La percentuale di acqua contenuta (92-93 %) risalta notevolmente rispetto al 7-8 % di zuccheri e allo 0,2-0,4 % di proteine e fibre, e ciò rende l’anguria molto dissetante.

Questo frutto si può considerare quindi depurativo e diuretico poiché, stimolando la diuresi, favorisce l’eliminazione di scorie in eccesso. Elevata è anche la presenza di sali minerali, in particolare potassio, fosforo e magnesio, vitamine A, C e quelle del gruppo B; per questo motivo l’anguria risulta senza dubbi un rimedio naturale contro la stanchezza e lo stress, prevenendo anche la ritenzione idrica. Inoltre sostanze antiossidanti, quali licopene e carotenoidi, garantiscono un benessere generale all’organismo con effetto preventivo su molte patologie e benefici anche sulla pelle.

Di recente è stata constatata la capacità di questo frutto contro le malattie cardiache e di ridurre i livelli del colesterolo cattivo. A risultare benefica è la citrulina, sostanza che rende l’anguria adatta a prevenire l’ipertensione. Tale amminoacido, presente però soprattutto nella parte bianca tra polpa e buccia, favorisce la vasodilatazione (allargamento dei vasi e quindi aumento del flusso sanguigno), conferendo quindi al frutto proprietà afrodisiache (utile soprattutto per i maschi, in quanto sembra produrre effetti simili al viagra).

Secondo alcuni studi basterebbe una fetta di anguria al giorno per aiutare il nostro organismo a ridurre il colesterolo nel sangue. Numerosi quindi sono i pregi di tale frutto ma attenzione per chi soffre di allergie e/o intolleranze.

L’anguria va evitata se si soffre di colite o gastrite: è possibile che la quantità di acido salicilico contenuta nella polpa del frutto possa causare reazioni avverse a livello intestinale. Per di più, le persone allergiche alle graminacee durante il periodo di pollinazione devono fare attenzione all’assunzione di alcuni alimenti tra cui proprio l’anguria in quanto questo frutto contiene e libera istamina. L’istamina è una sostanza che il corpo produce in risposta al contatto con una sostanza allergizzante: l’istamina, se presente in grandi quantità nel nostro organismo, determina una serie di reazioni quali arrossamenti eritemi, ponfi, produzione di muco nelle vie aeree, asma e diarrea. L’assunzione di alimenti che la contengono, come ad esempio proprio l’anguria, può amplificare la risposta allergica, incrementando l’infiammazione e i sintomi elencati in precedenza.

Una ricetta rinfrescante con l’anguria la potete trovare sul sito di Nonna Paperina: Sorbetto di anguria



March 30, 2014 Newsletter

Cos’è la terapia chelante?

La terapia chelante rappresenta la prima scelta terapeutica nel trattamento di rimozioni dei metalli pesanti dall’organismo, e la principale indicazione nella prevenzione dei danni generati dai radicali liberi.Tra tutte le sostanze inquinanti, i metalli pesanti sono da considerare un elemento pericoloso con cui possiamo venire, volenti o nolenti, in contatto nella nostra quotidianità. Essi, infatti, possono trovarsi a nostra insaputa nei cibi, tessuti per abiti e vestiti, rivestimenti ambientali, vernici, farmaci, per citare alcuni dei principali veicoli.

I metalli sono tutti tossici?

Non tutti i metalli sono tossici, e soprattutto alcuni come il ferro, rame, selenio, zinco, a determinate concentrazioni sono assolutamente indispensabili per lo svolgimento delle normali funzioni metaboliche dell’organismo, il problema è che a dosi elevate risultano essere tossici e dannosi.

Quali sono i metalli che possono risultare tossici?

Alcuni metalli tossici, come il piombo, mercurio, alluminio, cadmio, esercitano effetti dannosi sull’organismo anche a bassissime dosi o concentrazioni.

Dove si accumulano i metalli?

I metalli si accumulano lentamente e progressivamente nel nostro corpo ad esempio a livello del tessuto adiposo, nelle ossa, nel fegato, nel cervello, nella tiroide.

Dove si trovano i principali metalli pesanti e tossici e come li introduciamo nell’organismo?

Le principali fonti maggiori di mercurio sono:

  • amalgame per otturazioni dentarie

  • thimerosal ( vaccini )

  • sostanze detergenti per pavimenti

  • pesci di grossa taglia ( tonno, spada )

  • cosmetici

  • talco

  • coloranti

  • diuretici

  • lassativi

  • tatuaggi

  • supposte anti infiammatorie e per emorroidi

  • pomate anti psoriasi

Le fonti di tossicità da alluminio:

  • lattine di birra

  • lattine in generale

  • lievito in polvere

  • aspirine tamponate

  • pentole e stoviglie di alluminio

  • carta di alluminio per o cibi

  • usato come conservante in alcuni condimenti per i primi, sott’aceto, cosmetici,

  • antiacidi

Le fonti di tossicità per il piombo:

  • vernici

  • inquinanti ambientali come gli scarichi dei motori delle auto

  • saldature e fonderie

  • sigarette

  • insetticidi

  • conserve

  • acqua di rubinetto

  • ortaggi coltivati in zone ad alto rischio  di inquinamento

Cosa crea il metallo tossico nell’organismo?

Il metallo blocca il lavoro di particolari enzimi all’interno delle cellule, progressivamente si riduce la produzione di energia fino ad arrivare al blocco cellulare.

Quali sono i sintomi da intossicazione da metalli pesanti?

La sintomatologia da metalli tossici è molto varia e può coinvolgere numerosi organi e apparati. In base al tessuto intaccato, avremo dei sintomi tipici e specifici correlati, ad esempio problemi neurologici se i metalli si depositano nel sistema nervoso centrale, disfunzioni ormonali tiroidee se si depositano nella tiroide, disturbi intestinali, polmonari. etc…

Siamo tutti a rischio?

Potenzialmente sì. Le categorie più a rischio sono bambini e anziani, o malati cronici.

Quali indagini si possono eseguire per sapere se si è predisposti ad accumulare i metalli pesanti?

Il mineralogramma rappresenta l’indagine non invasiva di elezione per la ricerca di metalli pesanti nel nostro organismo; la procedura è semplice e non invasiva, si tagliano i capelli della zona nucale, circa un grammo (1 cucchiaio), in pratica si tratta di una biopsia tessutale vera e propria. Grazie al mineralogramma, possiamo  scoprire l’accumulo qualitativo e quantitativo dei vari tipi di metallo pesante e dove tende la loro localizzazione. Si sceglie il capello perché rappresenta un tessuto stabile nel tempo ed affidabile.

Un’altra analisi utile si può eseguire attraverso l’esame delle urine.L’analisi della presenza di metalli pesanti nell’urina è indice del loro accumulo nell’organismo. Si possono ricercare i principali metalli tossici.

 Possiamo curare questa intossicazione? Esiste una terapia efficace?

Si esiste una terapia efficace che ci chiama CHELAZIONE. Ci sono alcuni principi attivi molto efficaci che si utilizzano da diversi anni con successi terapeutici.

Cosa si usa per chelare i metalli pesanti dall’organismo?

La prima scelta cade sull’uso di EDTA ( acido Etilen Diammino Tetracetico ) endovena, la metodica richiede esperienza da parte dell’operatore e consiste in una seduta terapeutica della durata da 1 fino a 2 ore.

Altre sostanze utilizzate sempre per via endo vena, sono acido lipoico, glutatione ridotto, ATP, Vitamina C ad alti dosaggi, N-Acetil-Cisteina. Queste sono tutte sostanze ad azione chelante, che hanno cioè lo scopo di eliminare i radicali liberi che si formano dalle reazioni biochimiche degli alimenti e dei metalli tossici.

A volte è possibile associare una terapia per via orale, con prodotti gastroprotetti, in grado di catturare le molecole dannose dall’organismo ed eliminarle attraverso i reni, fegato e intestino.

Meccanismi d’azione e benefici della terapia chelante:

  • chelazione, rimozione dei metalli tossici

  • chelazione dei depositi di calcio presenti sulle pareti dei capillari del microcircolo, con attivazione e ossigenazione dei capillari periferici

  • ha effetto anti radicali liberi ( corregge lo stress ossidativo )

  • riduce l’adesione delle piastrine

  • riduce il colesterolo e la sua adesione nelle arterie

  Indicazioni della terapia chelante ( dove la causa è un accumulo di metalli e   sostanze tossiche negli organi )

  • patologie della circolazione e del cuore ( ischemia, arterioscelrosi )

  • patologie della retina con elevato stress ossidativo

  • patologie renali

  • ipertensione arteriosa

  • patologie del fegato

  • invecchiamento ( aging )

  • intossicazione da agenti tossici

  • MCS ( sensibilità chimica multipla )

  • prevenzione e trattamento dei disturbi generati dall’arteriosclerosi

  • intossicazione da metalli pesanti

  • dolori osteo articolari causati da depositi di tossine nei tessuti

  • malattie del collagene ( collagenopatie )


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